Pubblicato il 4 giugno 2016
Non conoscevo la storia delle prime motrici diesel italiana: ne ho scoperto parte (la locomotiva Ansaldo D.2311) leggendo il bellissimo libro “La trazione diesel delle FS” di Marini e Ianotta, il cui acquisto mi era stato suggerito da Gigi Voltan. Mi ha molto incuriosito, e mi sono quindi messo (come al solito) a fare ricerche in Internet, e come spesso accade qualcosa sono riuscito a trovare. Vedremo quindi qui la storia di interessanti motrici, alcune delle quali sembrano essere l’anello di congiunzione tra le locomotive a vapore e quelle endotermiche. Per una volta non seguiamo la cronologia, ma cominciamo dal 1929 che vide l’effettuazione delle prove della “Diesel Zarlatti“.
Si trattava di un esperimento davvero curioso, a trasmissione pneumatica, basato sul telaio di una Gr.910, la 042.
Asportati forno e caldaia (che fu restituita alle FS come ricambio per motrici consorelle), della locomotiva si mantennero telaio, rodiggio e biellismi. Questi ultimi erano spinti dall’aria compressa satura di vapore prodotto da una piccola caldaia: l’aria veniva prodotta da un compressore a due stadi rotativo Winterthur azionato da un motore Diesel da 330 HP, e i gas di scarico di quest’ultimo era previsto collaborassero scaldando ulteriormente l’aria compressa (anche se in pratica questo passaggio fu omesso). I meccanismi usati per la trazione erano poi gli stessi delle locomotive a vapore. La motrice poteva muoversi a vapore per effettuare le operazioni di composizione del treno, ed il motore Diesel veniva avviato pochi istanti prima della partenza del convoglio.
Non abbiamo trovato immagini del “Diesel Zarlatti”, ma, grazie a “treni di carta” abbiamo reperito un opuscolo che ne descrive principio di funzionamento, caratteristiche meccaniche ed un diario delle prove effettuate sulla Roma-Ostia tra l’aprile e il maggio del 1929.
Ma perché ricorrere a una trasmissione pneumatica? Il problema era che non si riusciva ad accoppiare direttamente il motore diesel agli organi di trazione come si fa con le automobili a causa della elevata potenza erogata da un grosso diesel. Lo si poteva fare su automotrici che, come un bus o un camion, dovevano muovere solo se stesse e il proprio carico, e al massimo una rimorchiata. Non era fattibile con le potenze necessarie a muovere un treno di centinaia di tonnellate, a meno di costruire frizioni enormi, pesantissime e di azionamento complesso, il che non era tecnicamente possibile.
A parte la trasmissione pneumatica, che ebbe il pregio di permettere le sperimentazioni iniziali, ma che alla lunga non avrebbe avuto successo, le soluzioni possibili erano dunque quelle che troviamo sulle motrici moderne: quella diesel-elettrica e quella diesel-idraulica. Nella prima il motore diesel aziona un generatore di corrente, che va ad alimentare motori elettrici collegati alle ruote.
Ha il vantaggio di essere assai semplice, ma all’epoca una soluzione di questo tipo rischiava di essere molto pesante, e quindi inapplicabile alle ferrovie. Eppure in questo campo ancora un volta FIAT riuscì a precorrere i tempi: già nel 1922 aveva messo sui binari una motrice diesel-elettrica da 440 HP Fu testata sulle Ferrovie Biellesi, e poi venduta alle Ferrovie Calabro Lucane dove avrebbe poi operato per vario tempo come FCL 301. Si pensi che un primo prototipo di questo tipo di trazione era stato realizzato da General Electric solo pochi anni prima, nel 1917.

Locomotiva Diesel-Elettrica FIAT delle Ferrovie Calabro Lucane in servizio in testa ad un convoglio (da mediawiki)
Era invece probabilmente di limitata potenza, e quindi a trasmissione meccanica, un’altra motrice termica della quale sappiamo pochissimo: la Laviosa T4. Costruita tra il 1928 e il 1930 dalla Autoguidovie di Laviosa, della quale abbiamo parlato nella nota dedicata ai railbus, fu impiegata dapprima sulla Fidenza-Salsomaggiore, poi presso lo zuccherificio di Casalmaggiore.

Laviosa T4, da http://www.tep.pr.it
Nel dopoguerra, i miglioramenti tecnici sia dei motori diesel che di quelli elettrici avrebbero reso la trazione diesel-elettrica conveniente. Avrebbe allora definitivamente trionfato negli USA, ed in Italia sarebbe stata scelta dopo un periodo iniziale di confronto con la trasmissione rivale: quella idraulica (si veda in proposto la nota sulla D.342).
La trasmissione idraulica è affidata a convertitori di coppia e giunti di trasmissione a fluido: sostanzialmente il motore diesel mette in movimento delle giranti alettate (dette primarie) che fanno circolare un fluido incompressibile, il quale a sua volta aziona delle giranti alettate collegate alle ruote motrici. Si tratta quindi di una sorta di propagazione meccanica (o meglio, fluidodinamica) del movimento, concettualmente non dissimile da una trasmissione ad ingranaggi ma più semplice di quest’ultima, e soprattutto ad azionamento più progressivo. Sostanzialmente può ricordare il funzionamento di un mulino ad acqua, nel quale il moto di un fluido viene usato per azionare una ruota. Anche questa soluzione all’epoca era ancora troppo complessa: qualche anno più tardi (1935) i tedeschi l’avrebbero sperimentata con successo con la V 16, ribattezzata nel dopoguerra V 140.
Il problema della interconnessione diretta (meccanica) del motore endotermico agli organi di trasmissione sta proprio nella mancanza di progressività iniziale, ovvero nella scarsa coppia fornita allo spunto. Basti pensare a quel che accade alzando troppo velocemente la frizione quando si guida una macchina: il motore non ce la fa e si spegne, ed una delle più classiche difficoltà dei patentandi è proprio imparare a dosare la frizione con dolcezza. Se poi la partenza è in salita, le cose sono ancor più delicate! Una volta che la vettura è in movimento invece la trasmissione diretta del moto non dà problemi.
I tecnici dunque cercarono di percorrere anche un’altra strada: usare una trasmissione meccanica, ma dare “un aiutino” in partenza. Ricordate lo Zecchino d’oro? “Dai, dai, dai, degli una spinta…” Come fare? Ci avevano provato nel 1912 dei colossi come Borsig e Sulzer che all’epoca rappresentavano la maggiore competenza rispettivamente nel campo delle locomotive e in quello dei motori, ma non avevano avuto successo: il loro tentativo effettuato sulla ferrovia Winterthur-Romanshorn con la cosiddetta “Diesel-Klose-Sulzer-Thermolokomotive” era sostanzialmente fallito (la storia, in inglese, si trova su derbysulzer).

Altra immagine della Diesel-Klose-Sulzer-Thermolokomotive, da http://www.derbysulzers.com/prussia.html
Il principio seguito era di immettere dell’aria compressa nei cilindri del motore, mettendo così in moto il convoglio. Una volta raggiunta una sufficiente velocità (pochi Km/h erano sufficienti) si iniziava a iniettare il carburante e il motore iniziava a svolgere il suo compito. L’iniezione d’aria compressa però provocava un forte raffreddamento delle pareti dei cilindri, con conseguente difficoltà nell’inizio del funzionamento a combustione. Lo scoppio della grande guerra aveva poi interrotto gli studi, che erano ripresi al termine del confitto.
A partire dal 1919 se ne iniziò ad occupare Ansaldo: erano tempi in cui le aziende italiane facevano della sana ricerca industriale… Preso atto delle difficoltà generate dall’iniezione di aria compressa nei cilindri decisero di basarsi sullo stesso principio, disaccoppiando però il meccanismo. Sostanzialmente si pensò di mantenere un meccanismo di distribuzione analogo a quello delle locomotive a vapore, azionandolo ad aria compressa solo per il tempo necessario per “dare una spinta” iniziale, muovendo il convoglio. A quel punto si accendeva il motore diesel che poteva eseguire senza difficoltà la sua funzione. Il motore aveva 6 cilindri orizzontali a stantuffi contrapposti con trasmissione diretta a bilancieri.
Si progettò e si arrivò costruire nel 1928 una macchina funzionante, la D.2311.
Grazie a “treni di carta” è stato possibile a recuperare un libretto d’epoca edito da Ansaldo che contiene, tra l’altro, fotografie con varie viste e diversi schemi che riporto qui.
Si trattava di una motrice dall’aspetto assai curioso, parzialmente somigliante ad una locomotiva a vapore per rodiggio, cilindri e stantuffi, e con un grosso “nasone” (presumibilmente un bombolone per l’aria compressa) che la fa somigliare ad una sorta di Pinocchio meccanico: alle due estremità sono posti i grandi radiatori di raffreddamento.
Durante la marcia era possibile usare (ad esempio in discesa, o nei rallentamenti) l’energia cinetica per ricomprimere l’aria nel bombolone così da averne sempre scorta sufficiente per la delicata fase di avvio. All’occorrenza era comunque possibile utilizzare la pompa di iniezione del motore diesel come compressore per aumentare le scorte di aria compressa.
Su questi principi Ansaldo aveva progettato un’intera famiglia di motrici per una vasta gamma di esigenze. Quella realizzata, la D.2311, era intermedia ed era la più eclettica, essendo destinata a servizi misti sulle linee principali. Lunga 14,2 m fuori respingenti, aveva una massa totale di 84 tonnellate in servizio, di cui 45 di peso aderente. La potenza di 1100 HP le permetteva di raggiungere i 75 Km/h.
Per confronto, una locomotiva a vapore Gr 740, più o meno coeva (fu costruita fino al 1922) sviluppava 980 HP, raggiungeva i 65 Km/h, aveva una massa in servizio di 66 t (56 t aderenti) ed era lunga 18.075 incluso il tender a tre assi. Sempre per confronto, i primi prototipi della E.626, costruiti negli stessi anni, fornivano ben 1810 HP , erano omologati per i 95 Km/h in versione passeggeri e 50 Km/h in versione merci (E.625), erano lunghi 14,95 m e pesavano 84,5 t (completamente aderenti). Avevano il difetto di abbisognare della linea aerea…
Erano previste altre tre macchine, con potenze e prestazioni assai eterogenee. La più piccola era la D.1302 e sarebbe stata destinata al traffico viaggiatori su linee secondarie. Lunga 12 m, aveva una massa totale di 49,5 tonnellate, di cui 40,5 di peso aderente. con 480 HP di potenza avrebbe raggiunto la velocità massima di 70 Km/h.
La D.1413 era concepita per i servizi merci sulle linee principali, quindi con grande potenza (2200 HP) ma bassa velocità massima (55 Km/h). con una massa di 100 tonnellate di cui 75 aderenti. Con quei numeri avrebbero fatto concorrenza alle E.625! La lunghezza avrebbe raggiunto i 15,250 m.
Per finire, la macchina più grande e veloce avrebbe dovuto essere la D.1511: con i suoi 16,8 m, massa di 94 t in servizio di cui 66 t aderenti e una potenza di 1850 HP avrebbe dovuto raggiungere i 100 Km/h. Era destinata al traino di treni viaggiatori sulle linee principali.
Andrebbe confrontata con la Gr 690 che sviluppava 1380 HP, aveva massa di 87,2 t di cui 54 t aderenti, velocità massima di 130 Km/h ed era lunga 22.75 m, tender incluso. Altro possibile confronto è con la E.421 trifase del 1928 che offriva ben 2390 HP, raggiungeva i 100 Km/h, era lunga 13,91 m e pesava 94 t in servizio, di cui 71 aderenti.
Come abbiamo detto, solo l’eclettica D.2311 venne realizzata: il prototipo fu la D.2311.001. La sperimentazione si svolse tra il 19 marzo e il 3 maggio 1928 tra Genova Sampierdarena e Albenga, effettuando una dozzina di corse, in alcuni casi con la sola macchina, in altri trainando dei treni reali, per una massa trainata che arrivò fino a 568 tonnellate. Durante la sperimentazione procedeva accoppiata con una locomotiva trifase di scorta, ma non ebbe mai bisogno di ausilio. L’immagine seguente mostra la motrice in testa ad una composizione notevole.
Le FS mostrarono interesse, e la sperimentazione venne estesa, ma vi fu un sfavorevole congiuntura. Durante una serie di prove sulla Roma-Firenze si verificò un grave incidente nei pressi di Chiusi, nel quale il prototipo venne pesantemente danneggiato.. Nel frattempo era giunta la crisi economica, così la macchina non fu ricostruita e gli altri progetti rimasero nel cassetto. Sarebbero allora passati molti anni prima che la trazione diesel si riproponesse in Italia, fino a dopo la grande tempesta della seconda guerra mondiale. A quel punto i progressi tecnici avevano reso possibili le altre soluzioni menzionate, che sono quelle che ancor oggi conosciamo ed utilizziamo, e la soluzione Ansaldo restò solo un interessante episodio nella storia delle ferrovie.
Nel modellismo
E’ stato realizzato, ad opera di E.Tiozzo, un modello in H0 della curiosa macchina Ansaldo. Il pezzo unico, costruito totalmente in metallo, è basato su un telaio ed un motore di fabbricazione Rivarossi ed è completo di teca espositiva. E’ attualmente disponibile presso la casa d’aste Van Morenberg di Trento.
In questa serie:
- Gli albori della trazione endotermica su rotaia in Italia. Parte 1: le automotrici
- Gli albori della trazione endotermica su rotaia in Italia. Parte 2: i railbus.
- Le sperimentazioni di automotrici straniere in Italia: la VT 63 e la Michelina
- Gli albori della trazione endotermica su rotaia in Italia. Parte 3: i locomotori (questo articolo)
…ed il fatto che presso la casa d’aste sia catalogato come un costoso “giocattolo” la dice lunga su come considereranno chi se la aggiudicherà…