Pubblicato il 6 gennaio 2019
L’Europa ferroviaria è un puzzle di tensioni elettriche: vi sono ben cinque tipi di alimentazione, e in vari paesi coesistono due tipi di alimentazione. In passato poi vi sono stati anche altri tipi di alimentazione, come la trifase italiana.
Ovviamente le differenze tecniche che la mappa ci mostra hanno una radice storica, e quest’ultima ha delle motivazioni a volte tecniche, altre economiche, altre ancora politiche. Cerchiamo qui di approfondire un po’ il discorso.
La nascita della trazione elettrica si ha alla fine del XIX secolo, e prevalentemente per esigenze di trazione “leggera”. In quel periodo le locomotive a vapore avevano raggiunto apici prestazionali, raggiungendo potenze di 1500 kW. Per contro, i primi esempi di trazione elettrica avevano potenze assai inferiori: il primo tram elettrico (Siemens, 1881,a Lichterfelde – Berlino) aveva potenza di 7,5 kW e usava una tensione di 180 V. Il problema della sicurezza che obbligava a tenere tensioni basse fu superato quando nel 1886 Van Depoele costruì una rete tranviaria a Montgomery (Alabama) usando per la prima volta una linea aerea. Grazie a questa innovazione fu possibile elevare la tensione di alimentazione a 600 Volt, e tram iniziarono a fiorire in molte parti del mondo.
Alzare la tensione è un imperativo categorico per semplici leggi fisiche. Apriamo quindi una piccola parentesi tecnica (che conterrà semplificazioni e approssimazioni, ma questo non vuole essere un trattato di ingegneria): la si può saltare “fidandosi” che il risultato ė che conviene appunto avere tensioni alte per quanto possibile.
Un motore elettrico genera una potenza meccanica, assorbendo una potenza elettrica leggermente superiore (il rendimento del motore non è mai ideale).
La potenza elettrica è il prodotto dell’intensità di corrente (I) per la tensione (V): P=I*V (per motori a corrente continua – se è alternata monofase o trifase vi é anche un fattore correttivo). Possiamo ottenere la potenza desiderata con tante combinazioni di tensione V e corrente I, mantenendone costante il prodotto. Ad esempio, se voglio ottenere 100 Watt di potenza, potrò farlo con V=10 Volt e I=10 Ampere, o con V=100 I=1, o ancora con V=1000 e I=0,1. Cosa mi conviene scegliere?
Per trasportare la corrente alla sorgente al motore pago un prezzo, che è la dispersione della corrente stessa lungo la linea elettrica. La terza legge di Ohm dice che la potenza dissipata per effetto resistivo (effetto Joule) è pari a RI2, dove R è la resistenza elettrica che caratterizza il conduttore attraverso cui la corrente I fluisce (nel nostro caso, la linea di alimentazione). Dunque più bassa è la corrente, meno potenza disperdo. È proprio per questo che le linee elettriche commerciali che si usano per trasferire energia sono “ad alta tensione”: tra le scelte possibili per erogare una potenza data, meglio alta tensione e bassa corrente.
C’è però un limite alla crescita della tensione: sopra un certo livello si possono avere scariche di corrente nell’aria (i fulmini non sono altro che questo) o attraverso il materiale isolante.
Ovviamente conviene poi tenere bassa anche la resistenza R, cosa che si può fare (seconda legge di Ohm) aumentando la sezione del filo conduttore (che chiaramente però non può superare dimensioni “ragionevoli”, e che comunque ha un costo di installazione: tanto più grossa è la sezione, tanto più materiale serve). Ricordiamo poi anche che R è proporzionale alla lunghezza del filo: questo significa che più mi allontano dalla sorgente, maggiore è la resistenza totale che la corrente incontra. E poiché la caduta di tensione su una resistenza è V=RI (prima legge di Ohm), questo significa che più mi allontano dalla sorgente, più la tensione cala. Quindi si deve spezzare la linea in vari tronchi, ciascuno alimentato da una sua sottostazione elettrica, di lunghezza tale da non far calare troppo la tensione (e non disperdere troppa energia per effetto Joule).
Chiusa la parentesi tecnica, torniamo alla storia. Avevamo lasciato i tram nel momento della loro conquista del successo. Un conto è però fornire abbastanza energia per azionare un tram, e un altro è averne a sufficienza per muovere un treno. Aumentare la potenza disponibile senza variare il voltaggio significava usare correnti più intense, e quindi maggior dissipazione lungo la linea. Per contenere quest’ultima si provò a seguire la strada di aumentare la sezione del conduttore, sostituendo il filo di contatto con conduttori di acciaio di grande sezione: la “terza rotaia” tipicamente disposta lateralmente. In Italia il 16 ottobre del 1901 ebbe inizio l’esercizio a corrente continua a 650 Volt, a terza rotaia, sulla linea Milano-Varese della Rete Mediterranea. Il sistema a terza rotaia è usato da molte metropolitane, per la ridotta sagoma possibile usando questo sistema. Da un punto di vista ferroviario, lo troviamo ancora oggi nella Stadtbahn berlinese e nel sud dell’Inghilterra (eccezion fatta per la linea AV per la Manica): in entrambi i casi l’alimentazione dei treni è a 750 V cc. Tra altri svantaggi, la terza rotaia può essere molto pericolosa.
La sperimentazione a terza rotaia era solo una delle iniziative decise da una Commissione istituita nel 1897 dal Ministro dei Lavori Pubblici Prinetti. Le altre due proposte erano state:
- trazione ad accumulatori sulle linee Bologna – S.Felice sul Panaro e Milano-Monza;
- trazione trifase ad alta tensione sulle Ferrovie della Valtellina.
L’esperimento della trazione ad accumulatori non ebbe successo.
La trazione a 650 V a terza rotaia, che nel 1902 fu estesa a Porto Ceresio, poté fruire di esperienze estere e conseguì risultati positivi, ma si confermò idonea solo per servizi su brevi distanze, di tipo suburbano e vicinale.
La sperimentazione trifase era decisamente innovativa: al posto del motore a corrente continua usava quello asincrono. C’erano pochi precedenti, tutti a voltaggi inferiori ai 1000V. Però, stimato in circa 300 A il limite della corrente captabile da una linea aerea di contatto, per avere a disposizione 1000 kW erano necessarie tensioni di almeno 3 kV. La frequenza (15 Hz) fu scelta per ottenere velocità di marcia di 50÷60 km/h con motori a 6 o 8 poli senza ricorrere ai riduttori a ingranaggi (e questo lo capiremo meglio parlando di motori in una prossima nota).
La scelta di una frequenza bassa era anche dovuta alla preoccupazione dell’interferenza elettromagnetica sulle linee telegrafiche aeree che correvano lungo le ferrovie. Richiedeva però appositi impianti di produzione e trasporto dell’energia, e sottostazioni frequenti (una ogni dozzina di km).
Sulla scorta del successo della sperimentazione, venne l’elettrificata in trifase (da parte della Svizzera) la lunga galleria del Sempione, e poi, inalzata la tensione a 3600 V, si procedette all’elettrificazione di parte della rete nazionale, iniziando dalla linea dei Giovi e varie linee al Nord, prevalentemente quelle di valico. Qui ci si fermò (anche se per un’altra decina di anni altre tratte furono elettrificate in trifase), perché nel 1921 vennero proposte altre due possibilità:
- corrente continua a 3000 Volt (da sperimentare sulla Benevento – Foggia)
- corrente alternata trifase a 10 kV e a frequenza industriale (45 Hz) (da sperimentare sulla Roma – Sulmona).
Entrambe le proposte miravano a semplificare il problema della distribuzione della corrente: la trifase a 16 2/3 Hz aveva richiesto produzione di corrente ad hoc, mentre sia la trifase a frequenza industriale che la corrente continua avrebbero permesso un semplice allacciamento alla rete elettrica nazionale (nel caso della continua usando trasformatori e raddrizzatori, che però non rappresentavano un problema). Inoltre, la trifase presentava la necessità di una linea aerea bifilare, con complicazioni notevoli in scambi e incroci, e problematiche importanti nella regolazione della velocità delle motrici (anche questo è un aspetto che approfondiremo presto).
Intanto, nel 1920 era stata elettrificata a 4000 V la linea secondaria a scartamento normale Torino – Ceres.
Come andò a finire lo sappiamo: la sperimentazione in continua sulla Benevento – Foggia convinse, e decise del futuro delle ferrovie italiane. Nel tempo poi la tensione rimase nominalmente a 3000 Volt, ma venne innalzata fino a 3600 (specie sulle linee di valico).
La storia dell’elettrificazione italiana è ben descritta in un articolo di Emilio Maraini e nelle note “Appunti di sistemi di trazione elettrica” di Francesco Murolo ai quali rimandiamo per approfondimenti.
Ma vediamo cosa era avvenuto all’estero. Agli inizi si pensava che l’elettrificazione andasse bene essenzialmente per l’ambito suburbano (tanti treni con basse necessità di potenza), lasciando i compiti di velocità elevate e masse importanti alla trazione a vapore. Tuttavia già nel 1921 una locomotiva elettrica poteva rimorchiare una massa di 260 t alla velocità di 60 km/su una rampa massima del 27‰, mentre la trazione a vapore era limitata a 160 t ad una velocità di 35 km/h sulla stessa linea. Inoltre l’elettricità liberava dalla soggezione ai produttori stranieri chi il carbone doveva importarlo. Fu dunque ovunque un fiorire di iniziative dapprima di sperimentazione e poi di adozione della nuova tecnologia.
In Germania, tra varie sperimentazioni, venne prodotta la “Badische A1”, prima motrice monofase a 15kV – 16 2/3Hz, testata nel 1910 sulla Murnau-Oberammergau in Baviera e nel 1911 sulla tratta prussiana Dessau-Bitterfeld, e quindi presentata all’esposizione di Torino del 1912.
Le prove ebbero esito positivo e determinarono l’accordo del 1912 tra le amministrazioni ferroviarie germaniche per l’adozione di quel tipo di alimentazione (ricordiamo che la Germania era all’epoca composta di vari regni e granducati, ciascuno con la propria ferrovia). Di lì a poco la stessa alimentazione fu introdotta in Svizzera (1914 sulla tratta Spiez/Frutigen della ferrovia del Lotschberg), in Austria e successivamente in Svezia e Norvegia.
Chi scelse la continua, non si fidò ad alzare troppo la tensione. La Francia, che già aveva alcune linee alimentate a bassa tensione a terza rotaia, preferì non superare i 1500 V nell’elettrificazione della sezione Pau – Tarbes della Parigi/Orléans (1922) e adottò (1925) la terza rotaia a 1500V da Chambéry a Modane.
I 1500 Volt hanno un vantaggio di semplicità, perché a quella tensione si possono alimentare direttamente i motori, mentre con la tensione a 3000V occorre metterne due in serie (ma anche di questo parleremo prestissimo, in una prossima nota).
Nella scelta francese entrarono in gioco anche considerazioni geopolitiche: si evitò di adottare la scelta del mondo tedescofono per evitare di favorire invasioni in caso di nuove guerre, e si decise anche di elettrificare solo il sud del paese, lontano dal confine con la Germania. Per questo il nord della Francia fu elettrificato solo dopo la seconda guerra mondiale: dato il successo dell’esperimento del 1950 dalla SNCF sulla linea Aix-les-Bains a La Roche-sur-Foron (Savoia), tutta la regione nord-orientale del paese venne elettrificata a tensione industriale (25kV, 50 Hz).
L’Olanda fu il primo paese al mondo ad avere l’intera rete ferroviaria elettrificata. La corrente impiegata è continua con una tensione di 1500 Volt, mentre la linea merci (confine Emmerich – Zevenaar-Zuid – porto di Rotterdam) è a corrente alternata 25.000 Volt e 50 Hertz.
Al contrario, le ferrovie Portoghesi erano in pauroso ritardo rispetto al resto del continente, ma proprio per questo quando il Portogallo negli anni ’70 decise di elettrificare le proprie ferrovie, divenne uno dei precursori della elettrificazione moderna a 25 kV 50 Hz, seguendo il modello francese.
In Belgio la prima elettrificazione fu la Bruxelles-Anversa degli anni ’30. La scelta della continua a 3000 Volt fu mantenuta fino ai giorni nostri. Già a inizio anni ’60 fu però introdotta la prima motrice policorrente per il traffico transfrontaliero (TEE): la Serie 15 in grado di essere alimentata a 1500 o 3000 V in continua e a 25000 V in alternata.

La SNCB Serie 1500 policorrente del 1962 in grado di viaggiare in Francia, Belgio e Olanda – Foto CC Phil Richards da wikimedia
La Spagna aveva iniziato a 3000V (Leon – Gijon) per poi proseguire a 1500 tra il 1920 e il 1950, e convertire il tutto a 3000V negli anni ’60. Negli anni ’90, l’avvento dell’Alta Velocità introdusse (solo per quest’ultima) lo scartamento standard in luogo di quello largo e l’alimentazione a corrente industriale.
A 3000 Volt c’è anche la Polonia, che iniziò la propria elettrificazione nel 1936. Proprio a causa del voltaggio presente, qui furono trasferite alcune E.626 “rubate” dalla Wehrmacht durante la seconda guerra mondiale. Anche la rete jugoslava aveva lo stesso voltaggio e vide molte motrici italiane impiegate. In anni recenti, e dopo la sanguinosa frammentazione della repubblica jugoslava, la rete dei vari stati balcanici nati dalla polverizzazione della Repubblica Jugoslava è stata convertita a corrente industriale. Le ferrovie cecoslovacche avevano continua a 1,5 kV attorno a Praga, poi portata a 3 kV in tutto il nord, mentre nel sud (Slovacchia e sud della odierna Repubblica Ceca) l’alimentazione fu portata a rete industriale.
L’Ungheria fu pioniera nell’elettrificazione elettrica, con l’ing. Kalman Kando (che aveva lavorato anche alle trifasi italiane) e la fabbrica Ganz, ma le vicende delle guerre non aiutarono e le cose andarono molto a rilento. In anni recenti, in seguito alle nuove direttive dell’UIC, si iniziò ad adottare la tensione unificata di 25 kV in conformità alle nuove realizzazioni europee.
Tra queste, tutte le nuove linee AV/AC: per queste l’elettrificazione è piuttosto uniforme: ovunque a 25 kV 50 Hz, eccetto che nel blocco tedescofono ove vigono 15 KV 16 2/3 Hz.
In Italia, dove la AV di vecchia generazione (es. Firenze-Roma) e rimasta a 3 kV, vi sono applicazioni della corrente industriale anche fuori dal mondo AV: l’elettrificazione della Ferrovia della Val Venosta (Merano-Malles, attualmente in corso d’opera) sarà infatti a corrente industriale, e i nuovi FLIRT della SAD sono infatti tricorrente: 3 kV continua per la rete principale del Sudtirol-Alto Adige, 25 kV 50 Hz per la Venosta, 15 KV 16 2/3 Hz per le connessioni con l’Austria (Innsbruck e Lienz).
Chiudiamo ricordando che in Italia si ebbe un altro progetto di rete a corrente industriale: quello della Rete Sarda. Si costruirono le locomotive (E.491 – E.492) ma non si fece mai la rete elettrica, così le venticinque motrici (nuove) restarono accantonate per trent’anni, per finire poi vendute come ferrivecchi…
Un’ordinaria storia italiana che, se Dante vivesse oggi, ne porterebbe i protagonisti a popolare il suo Inferno.
“I 1500 Volt hanno un vantaggio di semplicità, perché a quella tensione si possono alimentare direttamente i motori, mentre con la tensione a 3000V occorre metterne due in –>parallelo<– (ma anche di questo parleremo prestissimo, in una prossima nota)."
Ovviamente no, vanno messi in serie 😉
Grazie Edgardo per aver segnalato il refuso! Ho corretto. E sì che, come sempre, ho riletto più volte prima di pubblicare…
Altro bell’articolo (ma ormai che te lo dico a fare 🙂 ) ma segnalo un piccolo refuso: nel paragrafo che parla dell’elettrificazione a 1500 V della rete francese la frase “… mentre con la tensione a 3000V occorre metterne due in _parallelo_” va corretta con “due in _serie_”
Grazie per la segnalazione del refuso (oltre che per l’apprezzamento). Ora dovrebbe essere a posto.
Diciamo che, di norma non sbagli un colpo, avere beccato un tuo refuso,una volta tanto ha fatto crescere il mio ego del 32,9%. 😛
Scherzi a parte di nulla, e grazie a te per il tuo sempre interessante lavoro.
Beh, se questo é l’effetto magari in futuro ne metto qualcuno anche ad arte… 😉
Eh, perché no?
Sarebbe una bella cartina i tornasole per verificare l’attenzione dei lettori.
In questo web degenerato dove tutti scrivono, pochi leggono e quasi nessuno capisce quello che legge, un riscontro positivo ad una pubblicazione interessante, non è poco. 😉