Pubblicato il 26 ottobre 2019
La Ferrovia della Val Gardena (Ferata de Gherdëina nella lingua locale, il ladino) è una delle molte ferrovie dismesse. Tra di esse è una delle più affascinanti, un pò per le meravigliosa valle che attraversa, un po’ perché ne è rimasta una ricca documentazione, in termini di immagini e persino di filmati.
La vista del Sassolungo dalla Val Gardena è stupefacente, e la presenza della vaporiera riesce ad aggiungere ulteriore fascino.

Transito del treno nei pressi del cimitero di Santa Cristina attorno al 1920. Sullo sfondo il Sassolungo. Foto Arturo Demetz

Lo stesso posto visto oggi, con una ricostruzione dell’edificio della stazione di Santa Cristina (che però era altrove). Foto da facebook
Qui vogliamo ripercorrere brevemente la storia di questa ferrovia, che ci servirà come quadro di riferimento per parlarne in maggior dettaglio in prossime note: le motrici, il parco vetture e le stazioni.
Le sue vicende non sono dissimili da quelle della Ferrovia della Val di Fiemme, della quale abbiamo scritto di recente. Anche qui, per lunghi anni si era discusso della possibilità di costruire una ferrovia al duplice scopo di dare impeto al nascente turismo e di facilitare il trasporto, nel caso della Gardena in primis delle statue di legno che erano (e sono) la specialità della valle, mentre per la Fiemme si trattava soprattutto di esportare il legname. La strada di accesso alla valle era impervia, malsicura e la sua manutenzione costava molto. La ferrovia pareva un’eccellente soluzione. Però bisognava trovare i finanziamenti, e inoltre vi erano due fazioni opposte, proprio come in Val di Fiemme. Lì si discuteva se accadere con una tramvia da Lavis lungo la Val di Cembra, oppure da Egna via passo di San Lugano, qui c’era chi propendeva per una linea che giungesse a Bolzano (magari attraverso Siusi-Castelrotto) e chi invece la voleva da Bressanone.
In entrambi i casi fu la guerra a decidere, e anche per la Gardena si scelse l’opzione “Nord”, partendo da Chiusa. Nacque così la Ferata de Gherdëina, che sarebbe vissuta fino all’epoca della motorizzazione di massa, venendo poi chiusa nel 1960.
Il tracciato è visibile su due cartine del Touring Club, una del 1920, e l’altra del 1957, reperite sul bellissimo sito di Giorgio Stagni, che ha una sezione assai interessante sulla Ferrovia della Gardena che consigliamo di visitare (con diverse foto).

Cartina del Touring Club del 1920, con riportato il percorso della nuova ferrovia (Cliccando sull’immagine la si può ingrandire).

Cartina del Touring del 1957, con riportato con maggior precisione il percorso della ferrovia all’epoca ancora attiva (Cliccando sull’immagine la si può ingrandire).
Negli anni ’70 il tracciato della ferrovia fu utilizzato per costruire la nuova strada di accesso alla Valle, che invece di risalirla da Ponte Gardena in Val d’Isarco lungo l’omonimo Rio, parte dal casello autostradale di Chiusa e ripercorre il cammino che un tempo appartenne al vapore. Il blog di Francesco Leo contiene un bel lavoro di ricerca delle tracce ancor oggi superstiti della ferrovia, e ad esso rimandiamo per una descrizione dello stato attuale di quella che fu la linea della Ferata.
Ma torniamo alla nascita della linea. Come abbiamo detto, l’Impero tagliò la testa al toro delle discussioni, e prese uno dei progetti esistenti, quello dell’Ing. Leopold Örley, per realizzare la ferrovia partendo da Chiusa. La costruzione ha dell’incredibile, e quasi del miracoloso: a partire da zero, in meno di sei mesi (e per di più in pieno inverno!), usando oltre 6 tonnellate di dinamite, vennero completati 31 km di ferrovia di montagna, impiegando in media circa 5 giorni a km! Lo esigeva la logistica bellica, e fu fatto. Venne impiegata la forza lavoro di 10.000 uomini, oltre la metà dei quali prigionieri di guerra russi e, in minoranza, serbi. Per capire cosa abbia significato quest’evento, si pensi che la popolazione totale dei tre comuni della valle (Ortisei, Santa Cristina e Selva) al primo censimento italiano (1921) contava meno di 4.000 abitanti!

Lavori di sbancamento. Si può notare come le rotaie provvisorie (a scartamento 600 mm) siano posate su tronchi di legno grezzi.
I dettami imperiali imponevano la standardizzazione dello scartamento, previsto a 760 mm (il cosiddetto scartamento bosniaco), così da poter spostare il materiale rotabile a una ferrovia all’altra in caso di bisogno. E infatti, ma di questo parleremo in dettaglio un’altra volta, in tutta la primissima fase della vita della ferrovia le motrici arrivarono da altri posti (Ungheria in primis, ma una delle prime locomotive usate in Val Gardena proveniva dalla Mori-Arco-Riva).
Tuttavia si previde di poter adattare lo scartamento passando a quello metrico, in caso di futura elettrificazione, e tutto venne dimensionato di conseguenza, incluse le traversine. A differenza della Val di Fiemme però lo scartamento non venne mai variato, e nemmeno l’elettrificazione giunse mai.
Per poter lavorare in fretta e poter anticipare il più possibile l’entrata in esercizio, tutti i viadotti vennero provvisoriamente realizzati in legno, un po’ discosti da quello che sarebbe diventato il tracciato definitivo sul quale si eseguì la successiva realizzazione in muratura.
A differenza della Val di Fiemme, la Gardena non era proprio sul fronte, che correva un pò più in là, sulla Marmolada. Dunque la ferrovia era solo una parte dell’infrastruttura logistica di supporto: giungeva fino a Plan de Gralba, dove vi era un gran numero di binari per depositare i vagoni da scaricare, e lì munizioni, vettovaglie e quant’altro veniva trasferito su una vasta rete di teleferiche che portavano il materiale oltrepassando il passo Sella per andare a Canazei, e poi da li’ oltre il Pordoi, e scavalcando il passo Gardena per attraversare la Val Badia arrivare fino al Lagazuoi. Col di Lana e Marmolada erano raggiunti dalle teleferiche. Questo consentiva di trasportare ogni giorno tra 250 e 700 tonnellate di materiale!
Per far giungere a Plan tutto ciò, si usava la tecnica degli “Zugblöcken“, ovvero blocchi di sei o sette treni che si viaggiavano a breve distanza uno dall’altro in direzione “monte” per poi ridiscendere tutti assieme a valle, e risalire poi nella stessa giornata in blocco una o due volte. Si evitava così di dover gestire gli incroci, semplificando l’esercizio.
A differenza della Val di Fiemme, in Gardena non c’era modo di girare le locomotive: non vi erano triangoli di regresso, stelle o piattaforme girevoli. Le motrici quindi andavano in salita “diritte’, e in discesa tornavano “in retromarcia”. Nelle foto è quindi immediato identificare se il convoglio andasse verso Plan o verso Chiusa.
Una curiosità è che in coda ad alcuni convogli veniva attaccato un carrellino che poi riscendeva a valle per gravità, permettendo una ispezione della linea.
Al termine della guerra la ferrovia entrò a far parte delle FS, e Plan divenne, con i suoi 1600 m.s.l.m, la stazione a quota più elevata della rete (oggi, dopo la chiusura della Ferata, è il Brennero con 1374 m.s.l.m.).
Nel 1921 la stazione all’altro estremo, Chiusa, finì sott’acqua per la esondazione dell’Isarco.
Alle stazioni della linea dedicheremo una prossima nota.
La ferrovia visse per mezzo secolo, trasportando persone e merci.
Nel 1949 si pensò di modernizzare la Ferata. A tal fine fu costituita la Società Ferroviaria Val Gardena, a cui aderirono i Comuni della zona. Venne redatto un progetto di ammodernamento ed elettrificazione, ma il mancato finanziamento da parte dello Stato fece sì che non fosse realizzato.
Nel 1960, la FS ne decisero la chiusura. Che la decisione sia stata improvvisa lo testimonia il fatto che solo pochi giorni prima una delle motrici era uscita dalla grande revisione generale: che senso aveva effettuarla se poi si doveva accantonare la macchina? Il 28 maggio di quell’anno fu effettuata l’ultima corsa.
Oggi molti la rimpiangono, specie trovandosi fermi in una lunga fila di auto nell’attraversamento di Ortisei, anche se certo per reggere i tempi avrebbe avuto bisogno di un forte revamping. Del resto, la ferrovia della Val Venosta è li a dimostrare che il destino non era ineluttabile (ne abbiamo discusso in un’altra nota).
Resta il ricordo. Nel 2017, dopo aver restaurato il tunnel che attraversava Santa Cristina, quest’ultimo è stato reso accessibile a passanti amanti della storia o coloro che vanno di passeggio lungo il sentiero del Trenino della Val Gardena. Pannelli interattivi all’interno del tunnel consentono di ascoltare la canzone ladina “La ferata”e raccontano interessanti fatti storici, dettagli tecnici e storie sul Trenino della Val Gardena.
In apertura abbiamo detto che sulla Ferata vi è molta documentazione visiva. Qui raccogliamo diversi video che permettono di godere ancora, con qualche rimpianto, lo splendido spettacolo del vapore in Gardena.
Interessanti anche i video di subaruiv, che documentano le tracce rimaste della ferrovia nel 1990.
Vi è poi un film di Luis Trenker (“Flucht in die Dolomiten”, letteralmente “Fuga nelle Dolomiti”, ma tradotto in italiano come “Il prigioniero della montagna”) che contiene due spezzoni nei quali la Ferata è protagonista, ai minuti 18:35 e 1:10:30.
Chi invece volesse vedere delle fotografie, ne trova molte effettuando semplici ricerche con google.
In particolare poi ci sono su Facebook una pagina ed un gruppo dedicati alla Ferata, e vi si possono trovare diverse immagini anche inedite.
Fotosantacristina.it ha una collezione di 25 immagini relative alla ferrovia nel solo paese di Santa Cristina.
Un bel libro di Elfriede Perathoner, recentemente ripubblicato in una nuova edizione, è assai interessante. Un assaggio lo si può avere in un estratto messo a disposizione dall’editrice Athesia.
In un’altra nota discutiamo delle varie motrici che hanno percorso la linea.
E nel modellismo? In H0e (scartamento a 9 mm) c’è una riproduzione di AGM Treni comprendente un intero convoglio (una locomotiva FS R410, realizzato in ottone finemente fotoinciso e comprende la locomotiva FS R410, 2 carrozze di seconda classe e il bagagliaio. C’è anche la riproduzione di una stazione che riproduce il tipico fabbricato viaggiatori.
In scala N ancora non c’è, ma non ci stupiremmo di vederlo realizzare, magari stampato in 3D (anche se motorizzare la motrice sarebbe davvero una bella sfida).
Aggiungo che uno dei primissimi articoli dedicati alla ferrovia della Val Gardena venne pubblicato nel 1975 dalla Circolare AFI, a firma dell’ing. Francesco Morin di Bolzano e del sottoscritto.
Alessandro Muratori
Che vergognosi…..vergogna….altro che modernizzazione…..ma per favore…!!! Si stava meglio quando si stava peggio…..!!!!! Che popolo sian diventati……… La Svizzera insegna e a insegnato niente a tutti noi…..?????
Che peccato sia stata chiusa… Sarebbe stato affascinante vedere rotabili elettrici FS a scartamento ridotto…
È noto se vi fossero state pianificazioni di qualche tipo sul materiale rotabile da acquistare?
Non so se nel mai realizzato progetto redatto nel 1949 della Società Ferroviaria Val Gardena per l’ammodernamento ed elettrificazione fossero specificati i rotabili previsti. Immagino di si ma non ne ho evidenza.
veramente un dispiacere che non ci sia più. Tra l’altro il giorno 28.5.2021ho fatto il percorso, e guardando i pannelli credo di essermi riconosciuta in una foto dove sono sul balconcino con mia sorella. Ricordo la gita da Bolzano fino in val Gardena con il “trenino” e la fuliggine sul viso e vestiti al rienro in carrozza. Mi piacerebbe sapere quando è stata scattata quella foto. Io penso che potrebbe essere stato il 1957 o 1958. Mi ha fatto venire alla mente tanti ricordi bellissimi.
purtroppo non so la data della foto, ma sicuramente è di quegli anni. grazie per aver condiviso i tuoi ricordi di questa splendida ferrovia.