Pubblicato il 16 gennaio 2016, ultima modifica 18 giugno 2018
Abbiamo ancora negli occhi le immagine del miracolo di Andora (non lontano da Albenga), quando un semplice muretto impedì alla E.444.022 di precipitare sulla spiaggia sottostante tirando dietro di sé l’intero Intercity 660. Erano due anni fa giusti.
Ricordiamo bene come era andata: una terrazza abusiva aveva ceduto , lo smottamento aveva parzialmente invaso la linea ferroviaria sviando il treno, che per fortuna in quel tratto aveva una limitazione di velocità a 30 Km/h.
L’incidente, avvenuto il 17 gennaio 2014, bloccò la linea per oltre un mese, fino al 4 marzo, e fu necessario intervenire dal mare con una gru montata su una chiatta per rimettere sui binari la Tartaruga, che comunque fu smantellata per i danni subiti (anche perchè ormai si trattava di una motrice prossima al suo fine vita, e la riparazione non sarebbe stata economicamente conveniente).
Sappiamo che in Liguria ad ogni pioggia é bene farsi il segno della croce. Sappiamo anche che la causa dei disastri é la cementificazione selvaggia, e la dissennata copertura di molti corsi d’acqua. E’ anche vero che la conformazione geografica della regione fa sì che forti piogge possano gonfiare a dismisura torrenti anche brevissimi, con conseguenze catastrofiche, e lo fanno da sempre. La Settimana Incom documenta il disastro di Varigotti e Noli del 1949, quando l’accelerato Genova Brignole -Albenga precipitò sull’Aurelia a seguito dei datti provocati da una forte pioggia. Di recente ci siamo per caso imbattuti nella descrizione di una caso analogo accaduto poco lontano e risalente a fine ‘800: una delle prime, ma poco note, sciagure della storia ferroviaria Italiana, Ne parliamo quindi qui per mantenerne la memoria, e cogliamo l’occasione per fare anche alcune considerazioni di carattere ferroviario.
Su “La Civiltà Cattolica, Anno Trigesimosettimo“, 1886, a pag. 627 si legge la seguente storia:
“Il dì 3 novembre (1886) alla stazione Principe di Genova si era in grande agitazione: si temeva che qualche disgrazia fosse accaduta, perché il treno raccoglitore che doveva giungere poco dopo le ore 6 dalla linea Ventimiglia, non era peranco arrivato e non se ve avea alcuna notizia.
Intanto il capo stazione di Albenga telegrafava all’ispettorato principale di Genova, essendogli pervenuta notizia che il treno era precipitato in un torrente in seguito alla rottura di un ponte, che tutte le persone addette al servizio di questo erano rimaste vittima del disastro; e soggiungeva che si recava immediatamente sul posto per accertarsi del fatto, riservandosi di fornire telegraficamente precise notizie. Ad Albenga tutte le strade erano allagate; l’acqua inondava le botteghe e le case fino al primo piano. Ma altre persone domandavano soccorso. I cavalli e buoi venivano trascinati fino al secondo piano delle case per salvarle dalla spaventosa corrente del Centa, che aveva già inghiottito un disgraziato che non fu abbastanza sollecito a porsi in salvo.
In quanto il treno ferroviario, Ecco come erano andate le cose. Il guardiano della linea fra i caselli numero 80 e 81, quantunque piovesse dirottamente, s’era recato tra le 4.30 e le cinque pom. a sopravvedere il binario per accertarsi che nulla di anormale fosse accaduto, sapendo che doveva transitare a breve il treno raccoglitore 1443. Giunto al passaggio del Viddino, vide che l’acqua aveva inondata la linea, e che il cavalcavia minacciava di crollare. Ma il treno composto di 18 vagoni era già in marcia e si avanzava rapidamente, quando d’un tratto il cavalcavia cadde, con grande frastuono, nella via sottostante. Il guardiano udì il fischio della vaporiera che sbuffando correva verso il precipizio e senza frapporre indugio alzò il fanale che costituisce il segnale di fermata agitando in pari tempo la bandiera e gridando squarciagola ferma ferma!
Il macchinista per mezzo del fischio ordina la chiusura dei freni E diede subito il controvapore, ma ahimé era tardi! Si udì un grande rumore, un forte scricchiolio, uno straordinario cozzare di vagoni: poi più nulla.
Incredibilmente, esiste anche una documentazione fotografica dell’accaduto.
Ma proseguiamo con la lettura:
Ciò che avvenne è più facile immaginare che descrivere. In quella cupa oscurità prodotta dal cattivo tempo, la locomotiva e il tender erano precipitati da quell’altezza trascinando seco otto vagoni carichi di mercanzie. Il macchinista Gandolfi e il fuochista Arbini, entrambi ammogliati con figli, perdettero miseramente la vita. Il Gandolfi rimase schiacciato tra la locomotiva e il tender; si rinvenne morto colla mano destra sul regolatore, quasi volesse fermare la locomotiva. In quanto al fuochista non se ne sa nulla: si teme sia rimasto sotto il tender e sia morto annegato. Nello stesso treno eravi pur il capo conduttore Eusebio Negro, i due frenatori Pollano e Isvari, tre manovali viaggianti Fransost, Ponzano e Danasìo.
Tutti costoro poterono salvarsi quasi miracolosamente, buttandosi in acqua e aggrappandosi a quanto capitava loro sotto mano per riuscire a salvarsi. Lo stesso accadde al guardiano della linea, trovatosi egli pure, non si sa come, travolto dalla corrente. Intanto sei ponti sono distrutti e per ora è impossibile fare servizio, anche con trasbordo.”
In realtà sia il testo che la documentazione fotografica contengono alcune inesattezze che sono emerse grazie ai commenti di Orazio Fasino, appassionato di storia ingaunese. La località del disastro non è “Viddino” ma “Vadino”, ed il ponte in questione era quello sul Rio Avarenna, poche decine di metri a ovest del più importante ponte sul fiume Centa, che è a ridosso della stazione di Albenga. Quindi il disastro non fu “tra Albenga e Ceriale”, ma semmai “tra Alassio e Albenga”.
Il macchinista non era “Gandolfi”, ma “Pietro Gandolfo”, mentre il fuochista era Angelo Arbini: infatti nel cimitero di Leca (una delle frazioni di Albenga) sono tumulate le due persone morte in quell’incidente con relativa lapide a commemorazione, Sulla lapide si legge: “Vittime al dovere nel disastro ferroviario di Ponte Vadino presso Albenga rovinato per lo infuriare della acque la sera del 10 Novembre 1886 Pietro Gandolfo di Chiusa di Pesio macchinista in età di 52 anni abbandonava la sposa e figli. Angelo Arbini da Buffalora Ticino fuochista lasciava a 64 anni il genitore la sposa e i figli…. “. Non si andava in pensione presto nemmeno in quegli anni, se a 64 si faceva un mestiere usurante come il fuochista!
Dunque anche la data riportata nell’articolo è inesatta: i trattava del inesatta:si trattava del 10 Novembre, come riportato sulla lapide, e non del 3. P.B. (che ringraziamo) in un commento a questo articolo riporta evidenza, con link a due articoli di stampa, della data corretta.
Passiamo all’esame delle indicazioni di carattere ferroviario che emergono dalla narrazione di questo evento.
In primo luogo vediamo come il mezzo di comunicazione fosse il telegrafo: perché il telefono avesse diffusione occorrerà attendere ancora un po’. Il telegrafo era dunque il mezzo indispensabile perché la circolazione ferroviaria non dovesse essere “a vista”.
Vediamo poi come la linea fosse presidiata dal “guardiano della linea“, che in caso di emergenza doveva fare delle segnalazioni ottiche con lampada e bandiera. Difficilmente invece l’avviso acustico (l’urlo “ferma, ferma!”), probabilmente anch’esso previsto dal protocollo, avrebbe potuto essere udito dal macchinista della vaporiera. I casellanti hanno svolto il loro prezioso compito per decenni, monitorando il regolare svolgimento delle operazioni, presidiando i passaggi a livello e contribuendo in modo sostanziale alla sicurezza del “sistema ferrovia”.
Si parla poi di “treno raccoglitore“: una tipologia che sarebbe sopravvissuta per quasi altri cent’anni, almeno fino agli anni settanta del XX secolo.
Guardando l’immagine, si possono notare sui due carri merce rimasti più o meno interi le torrette dei frenatori. La descrizione parla anche di due frenatori: pochi per la lunghezza del convoglio (18 carri), a meno che non si tratti di un errore tipografico: più tardi si dice che i carri precipitati erano 8, che sarebbe già più consistente con il numero di frenatori. A meno che…
Osserviamo come sul convoglio si trovassero ben tre manovali viaggianti, probabilmente adibiti alle manovre del raccoglitore. In realtà sembrano un po’ tanti, se il loro scopo era quello di sganciare e agganciare i carri durante le manovre in stazione. E’ plausibile pensare che anche qualcuno di coloro che sono indicati come manovali fosse invece un frenatore, o agisse come tale? Chissà.
Vari argomenti dunque emergono da questa narrazione di quasi 130 anni fa: frenatori, casellanti, treni raccoglitori... Tutti temi che, stimolati da questa storia, affrontiamo in altre note, come sempre sparse…
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In realtà il ponte crollato è quello della località Vadino (e non Viddino).
Grazie per il suggerimento, ma dubito sia così: “Vadino” si trova sulla costa a Ovest della stazione di Albenga, mentre il luogo dell’incidente, avvenuto tra Albenga e Genova, è ad Est della stazione stessa.
Sono nato e vivo da 48 anni ad Albenga. Sono l’ideatore di un sito di immagini storiche della mia città. Il ponte in questione era quello sul Rio Avarenna in loc. Vadino. Nel cimitero di Leca (una delle frazioni di Albenga) sono tumulate le due persone morte in quell’incidente con relativa lapide a commemorazione, Sulla lapide si legge: “Vittime al dovere nel disastro ferroviario di Ponte Vadino presso Albenga rovinato per lo infuriare della acque la sera del 10 Novembre 1886 Pietro Gandolfo (non Gandolfi) di Chiusa di Pesio macchinista in età di 52 anni abbandonava la sposa e figli. Angelo Arbini da Buffalora Ticino fuochista lasciava a 64 anni il genitore la sposa e i figli….
Che dire se non grazie… E’ evidente che ha ragione! Probabilmente è poco chiaro il testo dell’epoca che mi faceva supporre si parlasse di disastro tra Albenga e Genova. Invece il capostazione di Albenga telegrafò sì a Genova, ma il treno non era nemmeno giunto ad Albenga essendo l’incidente avvenuto poco prima della stazione di Albenga stessa, e non dopo come mi pareva di capire. Grazie ancora davvero, sistemerò la nota per renderla coerente.
Grazie? E di che? Fa sempre piacere poter dare un ordine a notizie che si perdono nella notte dei tempi. Effettivamente agli inizi anche a me quella foto (la didascalia) aveva tratto in inganno. Parla di tratta tra Albenga e Ceriale ma sarebbe stata più corretta la dicitura tra Alassio e Albenga trovandoci ancora a ponente della stazione ingauna. Le auguro una buona giornata.
Buongiorno, anche la data pare sbagliata nella cronaca de “La civiltà cattolica”: l’incidente occorse, infatti, non il 3 novembre bensì il 10 novembre, come si può ricavare dalla lapide sepolcrale riportata sopra (“rovinato per lo infuriare della acque la sera del 10 Novembre 1886…”); la data parrebbe essere confermata da una breve nota di cronaca apparsa sulla “Gazzetta Piemontese” del 12 novembre http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,1248_01_1886_0314_0001_18329673/anews,true/ e un articolo del 13 novembre 1886 (che origina l’errore Viddino-Vadino) in http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,1248_01_1886_0314_0001_18329673/anews,true/
P.
Grazie mille! Ho aggiornato l’articolo