Pubblicato il 25 giugno 2016, ultima modifica 26 settembre 2020
A metà degli anni cinquanta le FS si proponevano un importante piano di modernizzazione che prevedeva la progressiva riduzione della trazione a vapore per i treni composti da materiale ordinario sostituendola con motrici Diesel. Non era ancora risolto in modo chiaro il problema della trasmissione che era aperto da decenni. Erano ormai scartate la soluzione meccanica, per le eccessive potenze in gioco, ed era tramontata l’ipotesi pneumatica sperimentata negli anni ’20. Restavano sul tavolo due alternative: la trasmissione idromeccanica, con massa ridotta ma a rendimento più basso e con il problema del raffreddamento del fluido presente nel convertitore idraulico, e la trasmissione elettrica, più pesante, ma con rendimento più alto e con la possibilità di sfruttare valori di potenza elevati per tempi più lunghi. Negli USA si stava affermando quella elettrica, mentre in Germania veniva privilegiata quella idraulica.
Le FS allora decisero pragmaticamente di metterle a confronto sul campo, e procedette alla progettazione di vari prototipi: sul fronte delle idrauliche furono schierate le D.342 che abbiamo ampiamente considerato in un’altra nota, mentre sul fronte opposto si predisposero le diesel-elettriche D.341. Tra le diesel-idrauliche vi era anche la D.442 “Baffone”, prototipo Ansaldo, che però non era direttamente confrontabile perchè di grande potenza, mentre le D.341 e D.342 avevano caratteristiche simili ed erano direttamente comparabili.
La sfida fu giocata prevalentemente n Puglia, tra Bari e Taranto, il cui deposito venne appositamente attrezzato per accogliere le nuove Diesel. Le D.342 erano assegnate al capoluogo pugliese, e le D.341 sul Mar Piccolo. Pressoché contemporaneamente D341 e 342 furono utilizzate anche presso il deposito di Torino Sm.to.
A partire dal luglio 1958 le sfidanti si affrontarono su vari terreni, ma soprattutto alla testa di una coppia di accelerati tra Taranto e Potenza, linea con notevoli acclività che in poco più di 100 Km sale dal livello del mare a Metaponto ai 671 m.s.l.m. di Potenza. I dati raccolti premiarono la soluzione diesel-elettrica, che ebbe anche l’apprezzamento del personale di macchina e mostrò una notevole affidabilità, e così il futuro dei Diesel italiani fu a trazione elettrica.
Ma veniamo alla storia delle vincitrici.
I prototipi (prima serie)
Per la sperimentazione erano state ordinate venti unità di preserie da 970 kW, che con rapporto 15/68 raggiungevano velocità massima di 100 Km/h, a parte la Ansaldo che aveva un rapporto di trasmissione 16/67 da 110 Km/h. Il loro peso assiale fu contenuto entro le 16 t per rendere possibile la circolazione su qualunque tipo di armamento, e disporre così di una motrice moderna anche sulle linee non elettrificate.
Si trattava di:
- sedici (D.341.101-116) con motore FIAT Grandi Motori 2312SF, assegnate a FIAT, realizzate tra il 1957 e il 1958 (9 dicembre 57 consegna della 101 a Torino);
- due (D.341.201-202) con motore Breda-Paxman 12YLXL, assegnate alla Breda, realizzate tra il 1958 e il 1959;
- una (D.341.401) con motore Maybach MB865, assegnata all’Ansaldo , realizzata nel 1959;
- una (D.341.501) con motore MAN V6V22/30, assegnata alle Reggiane, realizzata tra 1958 e 1959.
Un cinegiornale FS reperibile su youtube contiene una presentazione della motrice.
Con il passaggio alla marcatura a 7 cifre, avvenuto nel 1959, fu interposto uno zero dopo le centinaia, così ad esempio le FIAT divennero 1001-1016. Ricordiamo che nella marcatura Diesel di FS le prime tre cifre identificano il gruppo, e la successiva è, a partire appunto dalla seconda metà degli anni ’50, un codice che indica il produttore.
Contrariamente a quanto avvenuto per le D.342, i prototipi dei vari produttori erano esteriormente identici (a parte l’Ansaldo).
La fiancata con la cabina A a destra presenta quattro oblò, quella con la cabina A a sinistra ne presenta 3, più un portellone che facilita l’accesso per manutenzione.
La locomotiva 5001 delle Reggiane montava inizialmente un motore Reggiane/Man tipo V6V 22/30 a 12 cilindri a “V” che forniva prestazioni analoghe a quelle degli altri propulsori. Costruita nel dicembre 1958, giunse presso il Deposito Locomotive di Taranto a inizio 1959. Nel 1973 il motore MAN, che per tutti gli anni sessanta aveva subito diversi guasti, fu sostituito con un motore Fiat, rendendo la locomotiva analoga alle D.341 prima serie.
Il lavoro fatto dalle Reggiane non andò però perduto: dall’esperienza del prototipo queste derivarono immediatamente (tra il 1959 e il 1960) una motrice simile, costruita in tredici esemplari per conto delle pugliesi Ferrovie del Sud Est: le BB 151-163, che come il prototipo D.341.5001 erano di motore MAN. Le motrici erano relativamente simili anche nella linea della cassa.
Il prototipo 4001 Ansaldo presentava notevoli similitudini con la D.342 dello stesso produttore.
Era il più potente tra i prototipi di D.341: montava un motore di costruzione Ansaldo/Maybach ad iniezione diretta a 16 cilindri a “V” da 1600 CV a 1500 giri/m. Costruito nel settembre 1959, fin da subito manifestò problemi all’impianto di regolazione del motore Diesel, cosicché la consegna alle FS fu ritardata di un anno durante il quale furono effettuate molte prove nella zona di Genova. Finalmente consegnata nel settembre 1960, venne assegnata al Deposito locomotive di Bari, prestando servizio sulla linea Bari-Lecce. Ebbe numerosi guasti meccanici. Nel 1977 ne fu decisa la demolizione. Venne quindi trasferita a Rimini, dove restò accantonata per due anni per essere poi smantellata.
Le macchine di seconda serie.
Terminato il periodo di valutazione. vennero ordinate a partire dal 1960 le unità di serie, che furono 85, portando il totale a 105.
52 avevano propulsore FIAT (1017-1068) e 33 il Breda-Paxman (2003-2035). Le motrici di serie avevano lo stesso rapporto veloce del prototipo Ansaldo, salvo le 2018-2032 che mantenevano quello “lento” delle preserie. La potenza di taratura passò da 970 a 1030 Kw (1400 cv), ma attorno a metà degli anni ’60 fu notevolmente aumentata con poche modifiche e l’aggiunta di un intercooler, portandola a 1500 Kw.
Le 1026-1056 e 1062-1068 furono dotate di caldaia per provvedere al riscaldamento a vapore delle carrozze.
Anche in questo caso, non vi sono differenze estetiche tra le Breda e le FIAT. Rispetto alla preserie si ha una evidente variazione nella forma delle testate, a cui corrisponde una ottimizzazione degli ambienti interni, un miglioramento dei carrelli con sospensione primaria con molle a balestra e un migliorato azionamento dei servizi ausiliari. Entrambe le fiancate delle macchine di serie presentano quattro oblò.
Tuttavia l’impianto generale è lo stesso: lunghezza della cassa, passo ed interperno identici (lunghezza totale leggermente superiore per la seconda serie, che ha respingenti più lunghi di 3 cm) con grandi griglie laterali nella zona del motore e ventolone sull’imperiale.
Sia la prima che la seconda serie erano, come la E.424, dotate di porta anteriore di intercomunicazione, con passerella e corrimano laterali. Una rara immagine di Daniele Neroni la documenta.
Come per le prima serie, in origine non erano dotate di terzo faro frontale, aggiunto successivamente.
L’esercizio
Le motrici furono prevalentemente dislocate al sud, con poche eccezioni, e a metà anni ’60 la dislocazione era la seguente:
sede | FIAT di serie | Breda di serie | Prototipi |
---|---|---|---|
Taranto | 15 | 2 | 19 |
Bari | 9 | 1 (Ansaldo) | |
Catanzaro | 17 | ||
Reggio C. | 6 | ||
Roma | 21 | ||
Bologna | 10 | ||
Torino | 5 |
La prima FIAT di serie, la 1017, rimase a Torino con altre quattro sorelle. Il 9 giugno 1961 ebbe un giorno di gloria, quando in doppia trazione con la 1018 trainò da Milano a Torino il Treno Presidenziale… con a bordo una Regina! (si trattava di Elisabetta II in visita in Italia). Occasionalmente nel nord si videro delle D.341 a dar man forte nei momenti di passaggio dalla trifase alla continua.
Furono adibite a tutti i tipi di treni, merci e passeggeri, e dettero subito importanti vantaggi. Ad esempio, si poté ridurre di un ora la percorrenza della Bari-Reggio Calabria.
Le D.341 potevano viaggiare in comando multiplo pilotando una seconda unità, senza però segnalazioni nella cabina di testa dello stato della seconda motrice, il che obbligava ad avere un agente anche nella seconda macchina. Le doppie trazioni non furono dunque frequenti, anche se se ne ricordano in testa ad alcuni merci pesanti, ma anche a volte all’Adria Express ed in qualche altra occasione.
Non mancarono i servizi di prestigio, il primo dei quali fu il rapido Napoli-Taranto composto di tre carrozze che sostituiva delle ALn 880, ma vi furono anche molti direttissimi. In Romagna vi fu il già citato Adria Express.
Nel Torinese invece i servizi furono meno prestigiosi, e riguardarono diretti, accelerati e merci, suprattutto verso Aosta.
Dal 1967, con l’arrivo delle 443, e poi dal 1974 con le 445 le D.341 abdicarono verso servizi meno impegnativi e furono in parte trasferite. Così la 1020, 1023, 1024 e 1025 vennero dislocate tra il 1974 e il 1978 a Fortezza, da dove servivano la Val Pusteria, spesso in doppia trazione, a volte anche con una diesel accoppiata con una Gr.741.
Le 1021, 1057 e 1061 traslocarono a Verona a metà degli anni ’70. Verso la fine degli anni ’70 varie unità fecero servizio a Catania e a Genova.
Il tramonto
A inizio anni ’80, oltre all’arrivo dei nuovi diesel più potenti anche la progressiva elettrificazione di varie linee resero superflue queste macchine che avevano già accumulato diversi anni di servizio.
I primi accantonamenti delle unità di prima serie avvennero nel 1985. L’ultimo deposito ad averle in dotazione fu quello di Taranto, dove tutto era iniziato trent’anni prima, e dove nel 1990 vi fu l”ultimo servizio effettuato da una gloriosa D.341.
Vi fu però un seguito, perché varie macchine furono cedute a concesse e a società che lavoravano in cantieri ferroviari. Alcune sono ancora attive oggi, come ad esempio una seconda serie FIAT tuttora in servizio in Toscana, presso TFT: di tutto ciò parliamo in un’altra “nota sparsa”.
La 1016 con motore FIAT è preservata statica nel Museo Ferroviario di Pietrarsa. Della seconda serie è in atto il restauro della 2027 con motore Breda.
In Scala N
La scala N italiana nacque con la D.341 2^ serie di Lima, proposta fin dal primo catalogo del 1966 e rimasta in produzione per tutta la storia del “Micromodels”. Era un bel modello, con carrozzeria finemente dettagliata ma con un marchiano errore sull’imperiale, riprodotto a rovescio. Poichè poi in casa Lima erano dei pasticcioni, molti esemplari sono stati realizzati con carrelli sbagliati (quelli della E.424!), ma anche con altri scelti a caso.
Nel tempo le motorizzazioni/trasmissioni sono state almeno tre: inizialmente a vite senza fine, poi ad ingranaggi posti lateralmente, infine con il motore G e ingranaggi centrali. Si veda in proposito la nota sulla motorizzazioni Lima.
Anche in casa Rivarossi le D.341 furono le prime motrici prodotte, nella versione della 1017 FIAT, e restarono a catalogo finché la casa comasca non cessò la produzione in N. Erano modelli molto belli che reggono bene l’ingrandimento fotografico.
Anche queste avevano un limite: la presa di corrente avviene, oltre che tramite ruote, tramite due “bottoni” metallici che strisciano sui binari e che possono provocare deragliamenti su scambi e incroci. Inoltre presentavano carrelli con il passo troppo corto,
Mettendo a confronto la Lima e la Rivarossi, si può notare l’errore dell’imperiale.
In anni successivi, Rivarossi fece una nuova edizione della motrice, caratterizzata da un diverso numero di serie (1035) e con la presenza del terzo faro centrale.
Per la D.341 di prima serie ci si poteva rivolgere al negozio Eden del Modellismo di Desenzano sul Garda (BS) che produceva artigianalmente una lastrina fotoincisa con la quale autocostruire la cassa della motrice.
Su base Rivarossi, Voltan realizzò una versione della D.341 di prima serie. Se ne parla in maggior dettaglio sul forum NParty (per l’accesso occorre essere iscritti al forum).
A partire dal lavoro di Voltan venne realizzato un modello da parte di Almamodels-Assoenne-Nparty, sia in resina che in metallo bianco.
Più di recente Pirata ha presentato (Hobbymodel Verona 2011) un prototipo (ancora senza scritte) di una D341 di 1^ serie con terzo faro.
La macchina è successivamente andata in produzione (al prezzo di 200€) sia con numerazione Fiat (1002), che Breda (2001). Il modello è in resina con dettagli in fotoincisione, ed è mosso da un motore a 5 poli e due volani di inerzia Atlas.
Nell’ambito degli accordi commerciali di Pirata, è messa a catalogo anche da Hobbytrain-Lemke come art. LC2005.
Della D.341 seconda serie esiste anche un modello di Giuseppe Borzellino (DANIfer) che era disponibile come elaborazione su base Rivarossi. Nel modello era rimosso il terzo faro, ed erano aggiunti corrimano e condotte con rimozione del gancio modellistico.
Si dice che il telaio della Pirata sia derivato dal modello della MP15 di Atlas (il motore è dichiarato essere Atlas dai Pirati).
Fatto sta che la EMD MP15 ha dimensioni e interperno identici a quelli delle D.341, ed anche il diametro delle ruote è quasi identico (1016 mm per la MP15 contro i 1040 mm della D.341).
Questo fatto può essere interessante par gli hobbisti, che possono utilizzare il telaio Atlas per rimotorizzare la propria Rivarossi.
Si può usare anche Baldwin VO 1000, sempre di Atlas – la questione è discussa sul Forum ASN.
Lineamodel ha in produzione, dal 2015, un telaio fresato con due carrelli motore in ottone fresato, progettato per rimotorizzare Le D.341 Lima e Rivarossi.
Infine, una piccola microelaborazione: un vomere che stampato su carta fotografica e ritagliato, può facilmente essere applicato sul frontale di una D.341. E’ scaricabile dal forum ASN.
Terminiamo segnalando la presenza di modelli Rivarossi di D.341 in altre livree: ne però parleremo in un’altra nota.
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