Pubblicato il 14 settembre 2013, ultima modifica 26 maggio 2014
Le E.626 sono macchine che hanno fatto la storia delle FS, marcando la pietra miliare della scelta vincente per l’elettrificazione della rete italiana: i 3000 Volt in corrente continua. Dire che su di esse c’è da scrivere un libro non è un’iperbole: lo ha fatto ben due volte Claudio Pedrazzini (“Gruppo E.625 – E.626” 1981 edizione Albertelli, “E.626 Viaggio lungo ott’anni di storia ferroviaria italiana“, Associazione Museo Ferroviario Piemontese, 2010, 445 pagine e 510 foto). Inoltre un numero di TuttoTreno (il 188) è interamente dedicato alla serie. Non potremo certo pretendere di essere esaustivi, e rimandiamo alla bibliografia chi voglia approfondire veramente. Cerchiamo però qui ed in alcuni articoli collegati di dare una panoramica.
Gli inizi
Le macchine nacquero contestualmente all’elettrificazione sperimentale a 3 kV cc della linea Benevento–Foggia. L’esperimento avrebbe poi portato al progressivo abbandono della elettrificazione in corrente trifase (3,6 kV, 16,7 Hz), e all’adozione dello standard di elettrificazione che per quasi un secolo avrebbe dominato indiscusso le ferrovie nazionali, fino a quando in anni recenti le alte velocità avrebbero introdotto la corrente alternata a 25 kV.
La richiesta delle ferrovie fu di una macchina a basso peso assiale, per essere compatibile con le linee con armamenti leggeri: di qui la scelta di avere 6 assi motori. Al tempo stesso si scelse di evitare un rodiggio CoCo, per limitare l’aggressività di carrelli sull’armamento, anche vista la tortuosità dei 101 Km della linea di montagna sulla quale si effettuava la sperimentazione (dislivello di 500 m, con valico a 547 m.s.l.m.). Per questo si imboccò la strada dei tre carrelli (BoBoBo) che avrebbe poi caratterizzato buona parte delle motrici italiane dei 60 anni successivi, fino alla E.652: le prime e le ultime avrebbero avuto cassa rigida, mentre dalle E.636 fino alle E.656 si scelsero due semicasse articolate. La cassa delle E.626 era sovrapposta ad un telaio con sei assi motori – i due centrali fissi e gli altri montati su un carrello snodato. Il corpo principale della macchina era prolungato su ambo le testate con degli avancorpi, rifacendosi esteticamente alle motrici trifase dell’epoca che venivano costruite negli stessi anni, come mostra il confronto con una E.432.
Il progetto della parte meccanica venne sviluppato dal gruppo di colui che è, a ragione, considerato il “padre fondatore” del rimodernato sistema ferroviario italiano e di molte locomotive storiche: l’ingegner Giuseppe Bianchi del Servizio Materiale e Trazione FS di Firenze. Venne concepito con soluzioni semplici, resistenti e standardizzate per facilitare la riparazione in caso di guasto. Il sistema di trasmissione fu il più semplificato possibile, di derivazione tramviaria, con il motore montato direttamente sulla sala motrice con collettore agente sulla trasmissione a ruota dentata calettata sull’asse stesso (sospensione a naso). Proprio questa semplicità finirà, come vedremo, per essere il tallone di Achille di queste macchine negli ultimi anni di vita, e non per ragioni meccaniche… ma non anticipiamo i tempi.
Si iniziò con la costruzione di tre prototipi di E.626, seguiti da altre 11 macchine per un totale di 14 prototipi (prima serie); otto di tipo E.625 a rapporto di trasmissione corto per servizi merci e sei E.626 con rapporto lungo per servizi passeggeri. La differenza di rapporto era davvero notevole, tanto che se le E.626 potevano raggiungere i 95 Km/h, le E.625 erano limitate ai 50. In realtà le E.626 avrebbero potuto essere anche più veloci, quanto a potenza, ma le scelte meccaniche effettuate provocavano rumorosità e soprattutto vibrazioni che ne consigliarono la limitazione della velocità massima. I prototipi furono tutt’altro che omogenei, e si suddivisero in ben cinque sottoserie:
- Prima sottoserie: E.625.001-003 (E.626.001-003 a partire dal 1931) con parte meccanica OM, equipaggiamento elettrico della General Electric (USA) e rapporto di trasmissione 18/76.
- Seconda sottoserie: E.625.004-007 (E.626.004-007 a partire dal 1931) con parte meccanica realizzata dalla TIBB, equipaggiamento elettrico su progetto della Brown Boveri & C. (Svizzera) e rapporto di trasmissione 19/82.
- Terza sottoserie: E.625.008 (E.626.008 a partire dal 1931) con parte meccanica della CEMSA (Costruzioni Elettro Meccaniche di Saronno), equipaggiamento elettrico della Società Nazionale delle Officine di Savigliano e rapporto di trasmissione 23/72.
- Quarta sottoserie: E.626.001-003 (E.626.009-0011 a partire dal 1931) con parte meccanica della Società Nazionale Officine di Savigliano, equipaggiamento elettrico della Metropolitan-Vickers Electrical Company (Inghilterra) e rapporto di trasmissione 34/70.
- Quinta sottoserie: E.626.004-006 (E.626.012-014 a partire dal 1931) con parte meccanica della CEMSA, equipaggiamento elettrico Westinghouse Electric & Manifacturing Company (USA) e rapporto di trasmissione 22/55
La 625.008 era caratterizzata dalla presenza sperimentale da macroscopica protuberamza semicilindrica, una specie di nasone, destinata a ospitare una caldaia a nafta.Va ricordato infatti che il riscaldamento delle carrozze era a vapore! Curiosa scelta, visto che la macchina era destinata a trainare merci, e forse indicazione di una variazione d’uso in corso d’opera. La caldaia infatti non fu mai montata… Tutte le E.626 prototipo (non le altre E.625) avevano la stessa caratteristica, che però restò incompiuta: solo la 003 ebbe veramente caldaia e serbatoi da 2000 litri di acqua e 500 litri di nafta. A provvedere a tener caldi in passeggeri d’inverno pensarono i carri riscaldo, che avrebbero poi accompagnato molti convogli anche con le trazioni Diesel fino agli anni ’80.
I seguenti figurini danno una impressione visiva di come le macchine delle sottoserie fossero diverse.
Le prime prove risalgono al settembre del 1927. Le macchine, sottoposte a test intensivi sulla Benevento–Foggia, si rivelarono potenti e resistenti, tanto che già un anno dopo (nel 1928) che entrarono in servizio. Il successo della sperimentazione portò alla progressiva elettrificazione di buona parte della rete FS, e di conseguenza il numero di E.626 crebbe rapidamente, fino a raggiungere in pochi anni il numero totale di 448 unità.
I pantografi erano di nuova concezione in campo FS, sui prototipi si adottò il “Tipo 12” a doppio strisciante, derivato dall’esperienza maturata sulle macchine trifasi fino ad allora. Dopo le prime esperienze, il Tipo 12 fu migliorato e fu varato il “Tipo 22” prima a doppio strisciante, poi a strisciante semplice. A partire dal 1930 fu introdotto il “Tipo 32”, che progettato per le macchine a velocità più alta come le E.326, fu adottato anche sulle nuove E.626, ed andò a sostituire il tipo 12 sulle macchine che non erano ancora state trasformate al 22. Negli anni successivi, su alcune macchine delle serie successive di sui parleremo sotto vennero sostituiti con il tipo 42, con il tipo 42 unificato e in pochi casi con il tipo 52. (Dettagli sui pantografi si trovano su rotaie.it, ed anche qui ne abbiamo parlato in passato).
Raccogliamo qui alcune immagini dei prototipi, aiutandoci anche – vista la scarsità di foto – con immagini di alcuni modeli, ben sapendo che questi non possano essere considerati necessariamente testimonianze fedeli.
La produzione di serie
Terminata rapidamente e con successo la sperimentazione, le E.625 prototipo vengono riconvertite in E.626 con la sostituzione del blocco di trasmissione ed mantenendo la numerazione 001-008, mentre come già visto le E.626 prototipi vennero rinumerate 009-014, e la 005 incidentata venne ricostruita. Più o meno simultaneamente, nel 1930, iniziò a la prima produzione di serie: 85 esemplari (seconda serie) consegnati nei due anni successivi e numerati E.626.015-099, I prototipi furono più o meno omogeneizzati, e resi simili alle macchine di serie, anche se avevano la cassa più corta e gli avancorpi un pò più lunghi e stretti.
La seconda serie è composta di due sottoserie, che differiscono essenzialmente per i rapporti:
- I sottoserie: 015-069 – rapporto 24/73
- II sottoserie: 070-099 – rapporto 29/68 – dal 1940: rapporto 21/76 o 24/73
Le unità di questa serie erano caratterizzate dall’alimentazione dei servizi ausiliari (impianti di controllo della regolazione di velocità e dell’azionamento della frenatura pneumatica) a bassa tensione (110 V), generata da un motogeneratore coassiale al cuscinetto del 4° asse posto sul lato AT, con trasmissione con biellismo a manovella.
La biella laterale sul quarto asse installata inizialmente su tutte le locomotive del gruppo e poi gradualmente eliminata tranne che sulle E.626.015-099 non modificate, azionava un compressore meccanico di supporto ai motocompressori. Era prassi comune all’epoca, infatti, di provvedere le macchine di un sistema integrativo di produzione dell’aria compressa per i servizi, che potesse anche servire da emergenza in caso di avarie ai compressori principali. Il compressore meccanico fu infatti installato anche sulle successive locomotive dei gruppi E.326 ed E.428, anche se successivamente eliminato.
Il motogeneratore era particolarmente rumoroso, e le motrici dotate di tale dispositivo furono chiamate “Ronzoni” da alcuni macchinisti. La fiancata delle macchine era caratterizzata dalla presenza di una serie di sette grate di areazione a persiana.
Tra il 1934 e il 1938 vennero prodotte a tempo di record ben 308 unità (terza serie). Ebbero classificazione E.626.100-407. La caratteristica di questo gruppo – il più numeroso – fu la promozione di un primo concetto costruttivo di unificazione dei componenti, intercambiabili con le locomotive di altre serie ed addirittura altri gruppi, come le E.326 ed .E428. Rispetto alla serie precedente erano un po’ più leggere grazie all’eliminazione del motogeneratore elettrico sostituito da gruppo generatore motore-dinamo e accumulatori. Differivano inoltre per l’aspetto più massiccio degli avancorpi (che avevano anche sportelli diversi), e per la sostituzione delle grate a persiana sulla fiancata con prese d’aria a orecchio, montate su degli sportelli lato AT, e direttamente sulla fiancata dal lato corridoio.
Anche in questo caso, la produzione di può suddividere in quattro sottoserie, che differiscono per i rapporti montati:
- I sottoserie: 100-119 – rapporto 29/68 dall’origine per quasi tutte le 20 unità (p.20) – dal 1940: rapporto 21/76 o 24/73
- II sottoserie: 120-179 – rapporto 24/73
- III sottoserie: 180-240 – rapporto 29/68 – dal 1940: 21/76 o 24/73
- IV sottoserie: 241-407 – rapporto 24/73
Ricordiamo che i rapporti della macchina sono riportati sulla cassa sopra o sotto la targhetta identificatrice.
Nel 1939 furono consegnate altre 41 unità che costituirono la quarta serie,costruite specificamente per i servizi merci ed inizialmente denominate E.625.001-041. Caratterizzata da una trasmissione corta, erano esteticamente uguali alla terza serie, differendo per la griglia antiinfortunistica montata in prossimità delle porte di accesso alla cabina, che nel frattempo venivano però montate anche sulle serie precedenti. Già l’anno dopo furono riconvertite uniformandone i rapporti con le macchine di terza serie, e vennero rinominate E.626.408-448.
A come riconoscere le varie serie delle macchine dedicheremo un prossimo articolo.
La coloritura di questo gruppo di locomotive seguì gli schemi in uso nei vari periodi di esercizio. Tutte le prime serie e le prime seconda-serie adottarono colori analoghi a quelli delle locomotive a vapore: nero brillante, eccetto traverse di testa, che con pantografi, fiancate del telaio e ruote erano in rosso vagone. Le ruote avevano il bordino bianco. Le parti meccaniche fissate al telaio (balestre, sabbiere, boccole) erano in nero come la cassa. Tutte le scritte erano in bianco.
Nel 1931 venne adottato un nuovo schema: telaio, ruote, praticabili, tetto, grondaie e cornici dei finestrini erano in color castano. Cassa, avancorpi e bordino delle ruote erano in grigio pietra (un grigio molto chiaro). Traverse di testa e e pantografi erano in rosso brillante. Tutte le scritte erano in bianco.
Da 1935 si ebbe lo schema definitivo: il grigio pietra fu sostituito dall’isabella. Negli anni successivi si ebbero solo varianti minime, quali le scritte in giallo e le cornici dei finestrini in isabella.
Durante il “ventennio” tutte le motrici portavano le insegne del regime, e quindi anche la 626 mostrava sul frontale un fascio littorio in rilievo (lo abbiamo mostrato in un altro post).
Nel periodo prebellico alcune unità di II e III serie furono equipaggiate con un rapporto di trasmissione ritenuto più adatto al servizio viaggiatori, il 29/68. Ferma restando la velocità massima di 95 km/h, con tale rapporto era possibile incrementare le velocità relative alla potenza continuativa e oraria, seppure a scapito dello sforzo di trazione. Tali macchine erano originariamente distinguibili mediante una stella bianca a 5 punte dipinta sulle traverse di testa e sulla fiancata della cassa (per tale motivo erano note anche come “626 Stella”).
I servizi navetta
Nel 1940, sulla Roma – Nettuno, le FS avevano iniziato la sperimentazione dei servizi navetta. Al fine di snellire il traffico di manovra in stazioni con particolare movimento, si era pensato di utilizzare treni a composizione bloccata mossi da una E.626, che quindi tirava o spingeva il convoglio. La macchina doveva essere presidiata anche quando era in spinta, ed esisteva un collegamento citofonico (il Citofono Perego del quale abbiamo parlato altrove) con il macchinista sito nella cabina della carrozza pilota posta all’altra estremità. Sul frontale delle motrici attrezzate con tale sistema era visibile una presa (femmina), come abbiamo già documentato. Dopo la fase sperimentale la pratica venne estesa ad altre linee afferenti a Roma e Napoli, ma il susseguirsi delle vicende belliche portò alla sospensione dei servizi.
La parentesi bellica
Il periodo del secondo conflitto mondiale segnò una svolta nella storia del gruppo. Tra le E.626, molte unità (i quattro quinti del totale!) furono danneggiate o distrutte. Alcune macchine, requisite dai tedeschi, uscirono dai confini nazionali, ed altre al termine del conflitto si sarebbero trovate in terre non più italiane (Istria e Dalmazia). Per la storia delle “emigranti” rimandiamo a “E.626 all’estero“. Inoltre, durante la guerra era cominciata la costruzione del primo gruppo di locomotive concettualmente derivato dalle E.626 e che inizialmente condividevano i motori e alcune parti dell’elettromeccanica: le E.636. Queste ultime avrebbero nel dopoguerra sostituito le progenitrici.
E.626 dopo la guerra
Nel 1946, le Ferrovie approfittarono delle riparazioni sulle unità danneggiate per riconvertire le macchine della flotta, aggiornandole con gli impianti della terza/quarta serie. Anche l’aspetto esterno venne in molti casi uniformato all’ultima produzione. Le “626 Stella” vennero gradualmente riconvertite al rapporto 24/73.
Negli anni ’50 alcune macchine di prima serie subirono importanti variazione meccaniche, con la riduzione dei motori a 4. Ne parliamo in dettaglio in un altro articolo.
Nelle zone a elettrificazione ibrida, spesso le E.626 viaggiavano accoppiate con delle trifase: al cambio del tipo di elettrificazione cambiava la motrice attiva.
L’avvento di locomotive più moderne e veloci , da destinare specificamente a servizi passeggeri, portò a dedicare le E.626 primariamente al traffico merci e al trasporto locale. Varie unità furono anche attrezzate per i servizi navetta già sperimentati prima della guerra. Le macchine destinate a tale servizio, a partire dal 1974, vennero dotate di condotta a 13 poli: questa oltre a riprodurre le funzionalità già sperimentate con il “Perego”, ovvero il colloquio citofonico dalla carrozza pilota al locomotore, permettevano anche la frenatura e la disinserzione della motrice.
Le E.626 attrezzate per treni navetta senza telecomando integrale (quindi presenziate da un macchinista) furono le 006, 007, 119, 121, 122, 141, 179, 180, 182, 183, 185, 186, 189, 196, 210, 224, 272, 280, 284, 289, 297, 324, 349, 351, 374 e 378.
Col tempo le macchine per i treni navetta rimasero le uniche E.626 destinate al traffico passeggeri: tutte le altre vennero spostate ai treni merci. Continuarono ad operare, ormai affiancate dalle prime locomotive elettroniche, coprendo ancora eccellenti prestazioni, quali i merci rapidi da Torino Orbassano a Villa S.Giovanni, nonostante avessero raggiunto il mezzo secolo di servizio.
Gli incidenti
Sin dagli inizi, numerosi incidenti di varia gravità coinvolsero le E.626, con il conseguente smantellamento delle unità coinvolte. Tra i più gravi vi fu quello di Monza del 6 gennaio 1960, quando la 215 che era alla testa del diretto Sondrio–Milano deragliò nella nebbia e varie carrozze si rovesciarono su un fianco. Vi furono 17 morti e 120 feriti.
Peggiore ancora fu il disastro di Voghera, che nella notte del 31 maggio 1962 costò la vita 64 persone, mentre altre 58 rimasero ferite gravemente, quando il merci trainato dalla E.626.379 tamponò violentemente un treno passeggeri in sosta alla stazione.
La dismissione
Le E.626 per anni erano state delle vere e proprie “tuttofare” della rotaia, e si erano distinte per robustezza ed affidabilità di servizio, nonché per la loro maneggevolezza, caratteristica preziosa ed apprezzata nei servizi di manovra dei treni merci raccoglitori. Tali doti però furono superate con il passare del tempo e la crescita tecnologica: rimasero allora in evidenza i difetti di vivibilità e visibilità durante la marcia da parte del personale di macchina. Negli ultimi anni di attività vi furono alcune proteste dei sindacati di categoria dei macchinisti che lamentavano l’inadeguatezza delle condizioni lavorative del personale di bordo a causa della cabina priva di qualunque comfort, rumorosa, con spifferi d’aria entranti da ogni parte. Inoltre l’eccessiva rudezza delle sospensioni causava a continui sbattimenti trasversali. Così fu proprio la semplicità costruttiva, che da un lato aveva reso le macchine robuste e longeve ma dall’altro le aveva rese scomode e rumorose, a decretarne la fine.
Furono infatti proprio le proteste del personale di macchina ad accelerare l’uscita dal servizio delle E.626. A partire dalla prima metà degli anni ’80, iniziarono i primi accantonamenti, che riguardarono gli ultimi prototipi e le unità di seconda serie con motogeneratore, più invise dal personale per l’eccessiva rumorosità. Quasi 300 unità erano ancora in ordine di marcia alla fine degli anni ’80, destinate quasi esclusivamente al servizio merci ed a sempre più rari convogli passeggeri. Varie unità – soprattutto di terza e quarta serie – continuarono a circolare trainando solo treni merci fino ai primi anni novanta, cessando in quegli anni definitivamente il servizio ordinario per “raggiunti limiti di età”. Gli ultimi impianti ad aver avuto in ordine di marcia locomotive E626 sono stati Venezia Mestre, Bologna S.Donato, Genova Rivarolo, Roma Smistamento, Napoli Smistamento e Foggia. L’ultima locomotiva ufficialmente in ordine di marcia è stata la 194 di Roma Smistamento, mantenuta fino al 1999 ad Orte di riserva per la linea di Viterbo, caratterizzata da alcune limitazioni di peso assiale per alcuni ponti.
Al momento del ritiro molte macchine risultavano ancora funzionanti e in discrete condizioni operative. Alcune furono vendute a ferrovie private – pratica che aveva già avuto alcuni casi già durante gli anni settanta e ottanta. In totale risultano cedute 12 unità .
La conservazione
Le buone condizioni di conservazione e l’ampia disponibilità di rotabili hanno semplificato enormemente la scelta delle unità destinate alla preservazione storica sia statica che funzionale, che comprende un buon numero di unità, sparse lungo tutta la Penisola.
Alcune ferrovie secondarie italiane hanno mantenuto in uso alcune E.626 anche dopo la dismissione da parte delle F.S: la S.A.T.T.I. a Torino, la L.F.I. ad Arezzo e la Ferrovia Casalecchio – Vignola.
S.A.T.T.I. aveva acquisito le 150, 215, 386 e la 187 che è ancora in servizio a Ciriè (GTT), usata come locomotiva da manovra.
L.F.I. ha acquisito 4 macchine: una di queste, la 006, ovvero uno dei prototipi, fino al 2004 ha ricevuto la livrea sociale nera con imperiale argento e ruote rosse, che la ha riportata vicino alle tinte di origine. Aveva anche la 012, la 223 e la 311: a parte la 012, demolita, tutte le altre sono ancora operative, e vengono usate per effettuare treni storici o turistici.
La ATC di Bologna (Ferrovia Casalecchio- Vignola) acquistò la 089, la 128, la 193 e la 156 (le prime tre sono ancora attive). Sono fotograficamente ben documentate su leferrovie.it.
Dopo il ritiro, varie unità sono state mantenute per fini museali, mentre diverse sono state ristrutturate e sono operative: vengono utilizzate per effettuare treni storici. Oltre a quelle già menzionate LFI, ATC e SATTI, dovrebbero inoltre tutt’oggi essere in efficienza:
- E.626.001 (prototipo ristrutturato come 4a serie) DTR Emilia Romagna, DL Bologna Centrale
- E.626.015 DTR Veneto, DL Mestre, utilizzata spesso in coda ad un treno storico trainato dalla locomotiva classe Gr.740.293
- E.626.045 DTR Sicilia, DL di Palermo,
- E.626.185 DTR Puglia, DL di Taranto (ATPS)
- E.626.194 DTR Lazio, DL di Roma San Lorenzo,
- E.626.225 DTR Lombardia, affidata al Gruppo ALe 883 di Tirano
- E.626.231 DTR Veneto, DL di Verona
- E.626.238 DTR Friuli-Venezia Giulia, Museo ferroviario di Trieste Campo Marzio
- E.626.266 DTR Marche, DL di Ancona,
- E.626.287 DTR Piemonte, DL Bussoleno – FerALP Team
- E.626.294 DTR Liguria, DL La Spezia – Associazione Treni Storici Liguria di La Spezia
- E.626.428 DTR Sicilia, DL Palermo, affidata all’Associazione TRENO D.O.C. di Palermo
- E.626.443 DTR Lombardia, affidata al Gruppo ALe 883 di Tirano
Alcune macchine sono preservate nella ex-Yugoslavia – ne abbiamo parlato altrove.
Non sono operative, ma sono ancora preservate in Italia, anche le seguenti:
- E.626.005 conservata nel Museo Nazionale di Pietrarsa (NA)
- E.626.033 Museo AISAF Lecce
- E.626.059 Museo Campo Marzio Trieste
- E.626.074 preservata alla Mostra Compartimentale Permanente di Verona Porta Vescovo
- E.626.089 Museo Nazionale Trasporti La Spezia, Associazione Treni Storici Liguria
- E.626.128 ATTS di Pistoia
- E.626.150 Museo Ferroviario Piemontese a Savigliano
- E.626.156 monumentata all’ingresso delle OGR di Foligno (prima locomotiva elettrica riparata in questo stabilimento)
- E.626.188 (rinumerata 384) monumento di proprietà del ristorante “Willy” a Gemona (UD)
- E.626.248 Museo Ferroviario Piemontese a Savigliano
- E.626.249 preservata al Museo Ogliari a Ranco (VA) [foto su trenomania]
Una macchina in particolare è interessante ed ha una storia curiosa: la E.626.059 seconda serie, a cui è stata ridata la livrea grigio pietra.
La 059 è in realtà la 027 rinumerata… La storia pare sia andata più o meno così: la “vera” 626 059 era accantonata a Trieste CM il nel novembre 1984, ma in condizioni non buone. Appartenendo al museo, non era burocraticamente facile mandarla alla demolizione e far avere al museo una nuova 626. C’era la 027, che stava per essere smantellata ma era in buone condizioni. Allora si ricorse al trucco dei numeri, si scambiarono i numeri delle motrici, e il museo si tenne “quella buona” cambiandone le targhe. Così, sulla carta, si è semplicemente radiata la 027, mentre la 059 era ed è rimasta al museo.
A metà anni ’90 la macchina ha ricevuto l’originale livrea grigio pietra. In realtà per riportarla all’aspetto dell’epoca originaria si sarebbero dovuti rimuovere i vomeri, gli accoppiatori REC e le griglie antinfortunistiche.
In chiusura, segnaliamo una serie di belle foto di dettagli e degli interni delle E..626 su www.lost-least.it.
Altri articoli relativi alle E.626:
- E.626: la storia (questo articolo)
- E.626: i tipi
- Le E.626 a quattro motori: le “E.434″ mancate?
- E.626 all’estero
- La “doppia” E.626: FS E.12.2.12
- E.626 nel modellismo (non ancora pubblicato)
Molto interessante ed utile … come sempre!
Oltre a quelle già menzionate LFI, ATC e SATTI, dovrebbero inoltre tutt’oggi essere in efficienza:
….
E.626.238 DTR Friuli-Venezia Giulia, Museo ferroviario di Trieste Campo Marzio
Eccola qui!
Complimenti per l’articolo da un appassionato storico delle E.626
Grazie del commento e del puntatore alla foto. Una immagine della 238 sarà poi presente a fianco dell’altra “triestina” in un altro articolo sulle E.626 che comparirà a breve. Ciao!
Segnalo che a Ciriè per i servizi di manovra è impiegato (sempre più saltuariamente, dal momento che i Coradia manovrano generalmente in autonomia) una locomotiva del gruppo 245, mentre la E626 187 risultava accantonata già nel 2013.
Bellissimo articolo esaustivo e completo
Ringrazio tutti coloro che con il recupero di dati storici foto e commenti ci fanno rivivere i vecchi tempi..
Grazie per l’apprezzamento!