Pubblicato il 30 giugno 2018
Abbiamo visto recentemente come le FS si fossero lanciate con gran successo, nella seconda metà degli anni ’30, nella produzione delle “littorine elettriche” ALe.79.20xx/88.2oxx. Abbiamo anche discusso come il grande limite di queste elettromotrici fosse l’assenza di intercomunicazione tra le vetture. Le FS quindi decisero quasi subito di non produrre ulteriori unità delle 792/882 e di correre ai ripari progettando automotrici intercomunicanti, che divennero la nuova serie”zero” delle 79 e 88, che sarebbero poi divenute ALe.790 e 880. Nel seguito, per semplicità, parleremo di “792” e “790” usando la denominazione post 1943 (prima erano ALe.79.20xx e ALe.79.0xxx), ma intenderemo anche le “882” e “880” visto che l’unica differenza era l’arredamento, con la seconda classe delle 79 che faceva rinunciare a 9 posti rispetto alle 88 interamente di terza classe.
Le “correzioni” da porre in opera furono notevoli, con un risultato che se da un lato era funzionale, da un punto di vista estetico era disastroso: tanto erano aggraziate le 792, tanto furono infelici le 790, con il loro muso schiacciato da bull dog.
Vediamo passo passo come si fece la trasformazione da principe a ranocchio.
Per poter avere degli intercomunicanti, fu necessario rinunciare al bel musetto “testa di vipera”, sostituito da un blocco verticale con una “punta” appena accennata. La cabina di guida venne sacrificata in un angolo del frontale. Due porte anteriori nascondevano l’intercomunicante e la passerella che potevano essere estratti quando si accoppiavano due unità, e che davano accesso al corridoio centrale che portava verso il vestibolo.
Nasceva però un problema: l’eccessivo sbalzo tra il perno del carrello e il frontale (ricordiamo, si trattava di ben 5 metri!) facevano sì che il frontale della macchina “sbandierasse” notevolmente verso l’esterno della curva. Questo sarebbe stato critico soprattutto in presenza di curva e controcurva (“sghembi”), come avviene ad esempio quando, tramite scambi, ci si sposta sul binario vicino. Per ridurre questi effetti, occorreva diminuire drasticamente la distanza tra perno del carrello e frontale della motrice, cosa che si poteva fare accorciando sensibilmente la macchina, a scapito della sua capacità, oppure spostando i carrelli verso le estremità. Fu scelta questa seconda strada, come si può vedere nel confronto tra i figurini.
Questo fece sì che il passo delle macchine aumentasse, passando da 17,5 m a ben 20 metri, lunghezza successivamente eguagliata da altre elettromotrici di generazioni successive, ma mai superata da alcun rotabile italiano. La lunghezza totale delle macchine calava di oltre un metro, passando dai 27.860 mm delle 792 ai 26.800 delle 790. Curiosamente, sui primi esemplari la posizione dei pantografi non fu mutata, accorgendosi ben presto che questo creava il rischio potenziale della fuoriuscita del pantografo stesso dalla linea della catenaria, per cui si provvide rapidamente a spostarli in posizione “naturale”: sopra i perni dei carrelli.
Si ebbe però un ulteriore effetto a catena che costrinse a ulteriori modifiche: con un passo così lungo, la macchina usciva dalla sagoma limite in curva, e fu necessario “restringerla”, passando da una larghezza di 2920 mm a 2690 mm – ben 23 cm in meno! Per raggiungere tale risultato fu leggermente ristretto il corridoio centrale, e vennero “raddrizzate” le pareti laterali: ricordiamo che la sezione delle 792, così come quella dell’ETR.200, era trapezoidale, con una rastrematura delle pareti laterali verso l’alto. Divenne invece approssimativamente rettangolare nelle 790. Questo comportò una minor robustezza della cassa verso forze trasversali che generavano momenti flettenti (come le centrifughe), e per rinforzarla venne ridotta la larghezza dei finestrini, aumentando la dimensione della struttura tra un finestrino e l’altro.
FIAT, cui fu affidata la realizzazione delle prime 22 ALe.790, ci mise del suo. Contrariamente a quanto aveva fatto Breda, che realizzava le pareti in acciaio saldato, utilizzò l’alluminio. Non potendolo saldare, veniva rivettato, e poi si applicavano dei coprigiunti a copertura. Il bel fianco filante delle 792 fu, nelle 790 FIAT, butterato da sequenze di coprigiunti, e non si può certo dire che l’estetica se ne giovasse…
Nello spazio che sulle 792 già ospitava l’ufficietto postale e uno spazio bagagli si aprì, lateralmente, una serranda per facilitare carico e scarico, ma solo un lato: quello della ritirata.
La struttura interna restò invariata rispetto alle 792/882, come già accennato anche qui si ebbero due versioni: la 880 monoclasse e la 790 biclasse.
La prima fornitura di 790 fu, come detto, assegnata a FIAT per 22 macchine. Per le 880 vennero inizialmente realizzati 34 esemplari, ad opera di OM (001-010), Ansaldo (011-024) e Savigliano (025-034). Questi costruttori fecero la stessa scelta di Breda: acciaio saldato per le fiancate, e pertanto senza coprigiunti. Si venne quindi a creare l’unica differenza esteriore che permetteva di distinguere le 790 dalle 880.
Qualcuno si chiederà: fin qui le foto sono tutte di ALe.880: perché nessuna 790? Il punto è che le 22 macchine a frontale piatto della classe 790 subirono varie evoluzioni. La 009 fu trasformata a Bologna in sola seconda classe, con riduzione dei posti a 63 e conseguente riclassificazione come ALe.63.0001, poi divenuta ALe 630.001. Le 002 e 019 furono, sempre a Bologna, trasformate in sola terza classe, diventando delle 880 (con progressivi 101 e 102). Delle vicende belliche e della successiva ricostruzione ci occupiamo più avanti: per ora anticipiamo che già nel 1954 tutte le superstiti tra le 790 erano state trasformate in 880. Tutte le 880 a testate piatte con coprigiunti erano quindi delle ex 790. Nel 1959 però una 790 riapparve, quando la 630 tornò alla marcatura di origine.
Il problema della intercomunicazione era stato risolto, ma il risultato “nun se poteva vede”, come si dice a Roma. E i treni erano simbolo di modernità, velocità e orgoglio nazionale – potevano avere quell’aspetto? Certo che no, e quindi si corse repentinamente ai ripari, con quelle che sono considerate le elettromotrici di terza serie, che creavano un compromesso, presentando una testata aerodinamica e l’altra piatta (quelle con doppia testa piatta sono dette di “seconda serie”).
Forse proprio l’aspetto asimmetrico guadagnò loro, e per estensione all’intera serie, il nome di “Ocarine”, che non fu mai ufficiale. La maggior parte della gente continuò, anche nell’avanzato dopoguerra, a chiamarle “Littorine”.
Insomma, era un ibrido tra le 792 e le 790, anche se l’impianto derivava da quest’ultima: stesso passo, stessa sezione “rettangolare”. Lo sbalzo del muso aerodinamico era ridotto rispetto a quello delle ALe 792, scendendo da 5 metri a 4.
La lunghezza totale era di 27667 mm, circa 20 cm più corta di quella delle 792.
Come sulle seconda serie, vi era una serranda per il rapido accesso di colli voluminosi, sul solo lato ritirata, ed opposto alla testata aerodinamica.
La classificazione rimase nei gruppi 790 e 880, con numeri di serie rispettivamente 023-066 (44 unità) e 035-102 (68 unità). Non si tratta di numeri casuali: per ogni macchina di seconda serie, ve ne furono due di terza. Era evidente l’intento: avere composizioni di tre elementi, con agli estremi due terze serie ed al centro una seconda serie.
Le cose non andarono poi esattamente così. Non sempre le motrici erano disponibili nel “mix” e nell’orientamento giusto. Inoltre vi furono composizioni ridotte, con solo una motrice, o con una coppia, o con una trainata: a tal fine vennero realizzate a fine anni ’50 le Le.640 e Le.680 di cui abbiamo parlato in un’altra nota.
Le costruzioni delle 880 furono affidate a Savigliano (035-047), OM (048-061), Breda (062-069), FIAT (070-090) e Ansaldo 091-102). Anche qui, le macchine FIAT, realizzate in alluminio, si distinguevano per la presenza dei coprigiunti.
L’ordine per le 101 e 102 fu però cancellato, e la numerazione venne attribuita alle 790 a due testate piane trasformate in 880 di cui abbiamo già detto.
Seguirono ordini per le 790 di terza serie: Savigliano (023-037), OM (038-052) e Ansaldo (053-068).
Quanto alle prestazioni, alcune unità ebbero rapporto 16/43 o 14/43 con velocità massima di 115 km/h, altre rapporto 18/43 con velocità massima di 130 km/h.
Le vicende belliche, e l’evoluzione nel dopoguerra.
La realizzazione si sovrappose alla guerra, ed alcune macchine non vennero mai consegnate, finendo distrutte prima di entrare in servizio(ALe.790.052, 067 e 068), o ebbero l’ordine cancellato (ALe.880.101 e 102). Altre furono consegnate solo dopo la fine del conflitto.
Delle ventun 790 con due testate piane (ricordiamo che una era divenuta ALe.630) alla guerra ne sopravvissero 16, e furono tutte trasformate, tra il 1950 e il 1954, in ALe.880 (ma, segno dei tempi magri, con panche in legno invece dei sedili imbottiti di origine): presero i numeri 201, 203, 204- 208, 210-212, 214-218, 221, 222, per essere poi rinumerate tra il 1961 e il 1964, dopo un revamping che restituiva loro i sedili imbottiti, in 880.101-116. Di una diciassettesima (la 013) si poté effettuare un recupero parziale, trasformandola in rimorchiata Le.790.013.
Nel 1959 l’unica ALe.630 venne ripristinata come prima e seconda classe, tornando ad avere 79 posti, e tornò alla immatricolazione originaria ALe.790.009: fu a quel punto l’unica 790 con testate piane.
Simile sorte ebbero circa metà delle trentaquattro ALe 880 con due testate piane: quindici furono ripristinate senza motorizzazione, e furono classificate Le.880 mantenendo il progressivo di origine. Otto andarono perdute, e le restanti undici vennero ricostruite con panche in legno. Il loro progressivo fu aumentato di 300, entrando nel range ALe 880.303-334. Tornarono ad avere poltrone imbottite tra il 1959 e il 1961, riprendendo il loro progressivo di origine.
Tra le 790 con una testata aerodinamica, quelle non recuperabili furono 14: rimasero in servizio 30 unità.
Le 880 con una testata aerodinamica ebbero 11 unità distrutte, mentre di 5 (037, 053, 083,083 e 086) si perse ogni traccia; ne restarono dunque 50.
Tra le modifiche apportate nella ricostruzione si ebbe l’applicazione delle visierine parapioggia ai finestrini (esclusi quello della ritirata, che si apriva a compasso, e quello dello spazio bagagli di fronte ad essa, che non era apribile. Vennero sostituiti i pantografi passando dal modello 42 al modello 42 LR. I carrelli furono uniformati a quelli delle unità Ansaldo, che erano dotati di equilibratore della trave oscillante, che riduceva il beccheggio su tracciati sinuosi.
A differenza di quanto avvenuto con le ALe.792/882 nelle quali le porte di accesso erano state sostituite con porte a comando idraulico, sulle 790/880 rimasero le porte a battente.
Tra il 1959 e il 1961, contestualmente all’arrivo delle rimorchiate leggere Le.640 e Le.680, le macchine che erano state private del motore furono rimotorizzate, passando nuovamente da Le a ALe.
A partire dal 1966, su molte motrici del gruppo (65) furono sostituiti i carrelli di origine B.910 con i Br.910, che differivano per le sospensioni a molle cilindriche anziché a balestre.
A partire dal 1970 alcune macchine furono dotate di ripetizione di segnale. La relativa apparecchiatura venne ospitata nel vano bagagli posto di fronte alla ritirata, e il relativo finestrino fu soppresso.
Le ALe.790/880 furono utilizzate su tutto il territorio nazionale, esclusi i compartimenti di Bari (dove si trovavano le 792/882), Genova e Palermo. Le composizioni vedevano le triple come da intenzioni originarie (due con una testata aerodinamica ed una intercalata a testate piane), triple con l’elemento centrale demotorizzato (ma solo in pianura), ma anche doppie e singole, e l’uso delle nuove rimorchiate leggere Le.640/680 di cui abbiamo già detto, anche in composizioni piuttosto articolate.
Sono state utilizzate a noleggio anche sulle Ferrovie Nord Milano, sulla Ferrovia Casentinese, sulla Ferrovia Cancello-Benevento ed altre: il loro basso peso assiale inferiore alle 12 t per asse le rendeva adatte a tutte le linee.
Vi furono poi altre due ALe.880: le 117 e 118, ma a queste, e alla loro origine, dedicheremo la parte terza di questa serie di note.
Gli accantonamenti furono completati negli anni ’90.
ALe.880 in Jugoslavia
Tra le macchine perse, alcune finirono in Jugoslavia come preda bellica o riparazione danni di guerra. Una è la ex 790.002 divenuta 880.101, che venne incorporata nelle JŽ come 880-003, e dal 61 riclassificata come JŽ 381-003, quindi successivamente divenuta 312-003 (si veda pospichal.net).
Le fecero compagnia le 880.005 e 880.055 (025 secondo Cornolò) divenute in JŽ 880-001 e 002, e poi 381-001 e 002, e quindi 312-001 e 002.
Oltrecortina erano finite anche tre ALe.883, ma di queste parleremo un’altra volta, quando, nella parte quinta di questa serie, discuteremo dell’ultima evoluzione delle littorine elettriche.
In scala N
Le ALe 790/880 FIAT sono state riprodotte in resina (solo la cassa) da Gianni Prin Derre.
In precedenza sono state fatte anche da Assoenne, ma non ne abbiamo evidenza fotografica.
Giancarlo Adami ne ha recentemente trovate alcune in metallo: erano in vendita sul forum ASN, ma non si sa chi le abbia prodotte.
Recentemente modelli delle 790/880 sono stati realizzati da Gianfranco Visentin in 3D. I modelli sono forniti di intercomunicanti aperti e chiusi, per permettere le composizioni desiderate.
Un video mostra una coppia di 790 ottenute dalle stampe 3D di Gianfranco motorizzata Lineamodel da Nino Martire in azione sul plastico della “Val Balengo”.
In questa serie:
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