Pubblicato il 26 maggio 2018
Gli anni ’30 videro una trasfigurazione delle ferrovie ad opera di un’impetuosa ventata di rinnovamento tecnologico. Dapprima la trazione elettrica in corrente continua aveva mostrato di essere superiore per varie ragioni alla trifase, e questo aveva portato alla rapida elettrificazione delle linee principali, servite da nuove macchine di grande successo (E.626 ed E.428). Le automotrici termiche leggere, le littorine, si erano poi imposte sulle linee secondarie non elettrificate a basso traffico, e su qualche percorso ibrido anche a percorrenza lunga (ALn 40 del 1936). Infine (1937), l’elettrotreno ETR.200 si era segnalato come punta di diamante per i servizi rapidi di lusso su linee elettrificate, riuscendo anche a stabilire dei record internazionali di velocità.
In questo scenario, le FS si posero il problema di estendere il modello della littorina anche alle linee elettrificate per soddisfare le necessità dei servizi a basso traffico anche sulle linee principali. Misero quindi a bando la progettazione di una automotrice elettrica leggera, ottenendo proposte da FIAT, OM e Breda. Tra le tre, quella di Breda ebbe un successo folgorante, probabilmente non solo per ragioni tecniche, ma anche di “propaganda” (oggi diremmo di “comunicazione”).
L’idea era infatti geniale: riprendeva in piccolo l’impianto dell’ETR.200, mantenendone immagine e forme, e rimodulandolo secondo le esigenze del traffico locale. La domenica la gente al cinema guardava, prima del film, il Cinegiornale Luce, che era l’unica forma di comunicazione video delle notizie (non c’era la TV). Sentiva raccontare (e vedeva) i meravigliosi progressi della ferrovia in Italia, ed i nuovi fantastici record di velocità.
Il lunedì, andando al lavoro, avrebbe visto arrivare al binario un’ALe 79 o 88, cioè un treno “uguale” a quello di lusso sognato al cinema!
Saliti a bordo, nessuna delusione: veicoli assai curati, nei quali persino la terza classe presentava sedili imbottiti, accelerazioni impensabili per i vecchi servizi a vapore, luminosità e sobria eleganza degli ambienti. Un’operazione perfetta.
O quasi… perché qualche problema di esercizio si manifestò, anche se più per i gestori che per i passeggeri.
Ebbe così origine una serie di varianti, che fece sì che la famiglia delle 79x/88x fosse varia e articolata. Qui intendiamo districarci nella progressiva evoluzione che si ebbe dapprima nel breve periodo anteguerra, e poi negli anni della ricostruzione.
Iniziamo con una panoramica dei vari modelli, ottenuta grazie ai preziosissimi figurini di Daniele Neroni su http://www.ferrovie.it. Ci permetterà di avere un riferimento per confrontare velocemente le varie versioni mentre ne ripercorreremo la storia.
Definiamo alcune categorie che ci permetteranno di comprendere meglio storia ed evoluzione. Osserviamo che vi è una “versione di base”, composta dalle serie 79/88 poi divenute 792 e 882, e 790 e 880. C’è poi quella che noi chiamiamo la “versione vivandiera”, con le ALe 40/402/400, successivamente evolute in ALe 781 e 782. Vi sono infine le “composizioni bloccate” (che tanto bloccate non furono…) composte di ALe 883 e rimorchiata Le 883.
Nella storia entra anche la ALSe 10/ETS 11, poi divenuta ALe 184 prima di confluire nel gruppo 880.
Le versioni “base”
Le “vivandiere” e derivate
Le composizioni bloccate
Parte 1: le prime versioni base: ALe 792 – 882
Il progetto originale ibridizzava le idee dell’ETR.200 e delle Littorine termiche. Dal primo derivava l’aspetto e parte della tecnologia, dalle seconde il modulo basato su una unità autonoma e reversibile. Dalle più recenti evoluzioni delle littorine aveva anche il comando multiplo, con la possibilità di rendere modulare il servizio svolto semplicemente accoppiando unità uguali. Ne nacque una macchina dall’aspetto elegante e pressoché simmetrico, che fu prodotta in due versioni, esternamente identiche ma differenti per l’arredamento interno: le ALe 79 e 88.
La 88 era di sola terza classe. Con riferimento al disegno sopra riportato, da sinistra abbiamo la cabina 1, seguita da un locale per il compartimento postale (a sinistra) e uno spazio per i bagagli (a destra).
Seguiva il vestibolo di accesso (con porta a battente, controvento), separato da un primo vano passeggeri tramite una paretina a mezza altezza (cosa non ideale d’inverno). Il primo vano passeggeri era da sette moduli, ognuno comprendente otto posti su due file (2+2) + (2+2), separati da un corridoio centrale. I moduli erano da 1685 mm, e presentavano un finestrino per lato, apribile con una manovella. Si trovava poi un modulo che sulla destra aveva la ritirata, e sulla sinistra un secondo vano bagagli, quest’ultimo con il finestrino non apribile protetto internamente da alcune barre metalliche verticali. Passato questo modulo, vi era un secondo vano passeggeri da quattro moduli, che terminava con il vestibolo di accesso oltre il quale si trovava la cabina 2. In totale si avevano quindi 11 moduli da 8 posti, per un totale di 88.
La 79 aveva struttura analoga, ma il secondo vano passeggeri era riservato alla seconda classe, ed offriva un totale di 23 posti a sedere. Questi erano disposti come nelle prime e seconde classi dell’epoca, ad esempio sulle ALn.40 o sull’ETR.200, a file con due posti su un lato ed uno su quello opposto, sempre con corridoio centrale: (2+1)+(2+1). Mancava un posto sulla fila più estrema. In totale si avevano quindi 56 posti in terza più 23 in seconda, per un totale di 79.
Il progetto era di chiarissima derivazione dall’ETR.200. Per convincersene basta guardare i figurini affiancati:
Stesso interperno (17500 mm), stesso passo dei carrelli (3000 mm), stesso sbalzo tra perno e fronte della macchina (ben 5000 mm! il valore massimo mai misurato in un rotabile FS). Forma dei musetti, identica (stessi raggi di curvatura). Stessa sezione, rastremata verso l’alto. Stessa carenatura intera, inlcuso il sottocassa, per migliorare l’aerodinamica. Perfino il rapporto potenza/peso é simile, con circa 9 kW/ton in entrambi i casi!
Ovviamente poi finestrature del vano passeggeri, portelli di accesso alle attrezzature nel sottocassa sono differenti, così come la “chiusura” quasi simmetrica della motrice.
Le ALe vennero prodotte in 22 esemplari: dodici 79 e dieci 88.
L’immatricolazione originaria prevedeva un gruppo da due cifre (79 o 88) seguito da un progressivo a 4 cifre, la cui prima era un “2”: cifra identificativa del costruttore Breda, come già in uso per le ALn ed anche per l’ETR 200. Le elettromotrici furono quindi ALe 88.2001-2010 e ALe 79.2001-2012.
Nel 1943 venne modificata la marcatura, portandola a 3+3 cifre, ed i gruppi in questione divennero pertanto 792 e 882. Attorno a quegli anni si provvide anche ad apporre i deflettori parapioggia sulla parte alta dei finestrini.
Gli anni della guerra furono infausti per la serie: tra le 792 la 001 fu dispersa (all’estero?) e non se ne ebbero più tracce, la 010 fu distrutta in modo irreparabile. Stesso destino, tra le 892, per le 003, 005, 006, 007. Restarono quindi dieci 79 e sei 88. Nella ricostruzione postbellica, su tutte le unità le porte a battente furono sostituite da porte doppie a comando pneumatico, e il vestibolo di accesso fu separato dal vano passeggeri da una parete e una porta. A differenza delle porte a battente, quelle pneumatiche non erano a filo, ma risultavano incassate nella carrozzeria: di sicuro l’aerodinamica non migliorava…
Le automotrici furono impiegate inizialmente sulla Firenze-Roma, poi concentrate a Napoli per servizi verso Nord e Sud lungo la linea tirrenica, anche in doppia e tripla composizione. Vennero usate anche nella zona dei Castelli Romani. Negli corso degli anni ’50 furono progressivamente tutte trasferite a Foggia, dove sono rimaste fino alla radiazione avvenuta negli anni ’80.
In quel periodo le 882 e le 792 ebbero una semplificazione degli interni, che portarono entrambi i tipi ad offrire 72 posti, senza che per questo vi fosse una variazione di marcatura.
Lì poteva capitare di vederle anche in composizioni ibride comprendenti tre ALe e due carrozze ordinarie.
Una automotrice, la 792.004, è preservata presso il Museo Nazionale di Pietrarsa.
Il grande limite delle 792/882 era l’assenza di intercomunicazione tra le vetture, caratteristica anche delle coeve Littorine termiche. La cosa presentava gravi inconvenienti quando era necessario comporre convogli con più unità: l’impossibilità di muoversi tra una vettura e la successiva poteva creare problemi di disomogeneità di affollamento, e rendeva impossibile al capotreno di presenziare l’intero convoglio, richiedendo o personale addizionale, oppure il saltabeccare del capotreno stesso tra le vetture ad ogni fermata. Avrebbe potuto essere accettabile se si fosse trattato di situazioni saltuarie, ma proprio il successo del mezzo richiese con gran frequenza la composizione multipla.
Le FS decisero quindi di non produrre ulteriori unità delle 792/882 oltre a quelle di “prima serie” e di correre ai ripari progettando automotrici intercomunicanti, che divennero la nuova serie delle 78 e 88. Curiosamente questa serie divenne la “zero”, e quindi le 79.0xxx e 88.0xxx sono in realtà successive alle 79.20xx e 88.20xx (poi divenute rispettivamente 792/882 e 790/880). Ma questa storia la racconteremo in un prossimo episodio.
In scala N
Non ci risulta che le ALe.792 o 882 siano mai state prodotte commercialmente, né che ne siano state rese disponibili delle carrozzerie in resina. Un modello della ALe.792 in versione prebellica (o almeno pre-ristrutturazione con cambio delle porte) è stata realizzato (in versione unica, per sé stesso) da Paolo Farina. La realizzazione è documentata sul suo bel blog Scartamento9mm al quale rimandiamo. “Rubiamo” comunque dal blog due immagini per mostrarle qui.
Sul forum NParty si trova anche un’immagine dello stesso modelli in lavorazione:
In questa serie:
Segnalo che il modello apparso su NParty era il mio in fase di realizzazione. Saluti
P. Farina
Grazie Paolo ho corretto.